Aragosta, pesca (ma anche protezione)

Nella foto: Giorgio Romano, pescatore di Capraia.
CAPRAIA ISOLA – È ancora, insieme alle altre isole del Tirreno, il campo “di caccia” privilegiato per la pesca all’aragosta, ovvero il più prelibato tra i grandi crostacei del mare. Nome scientifico “Palinurus vulgaris”, aspetto quello di un gigantesco gamberi crazzat, peso fino a 6 chilogrammi, aspettative divina – senza subacquei né polpi nelle vicinanze – anche una sessantina d’anni. La sua crescita è incessante tanto che può mutare la sua corazza chitinosa anche una decina di volte all’anno: poiché la nuova corazza impiega qualche giorno per indurirsi, nel periodo dopo la muta l’aragosta è particolarmente inerme, ma non è nemmeno gustosa per i nostri palati.
Si ritiene che le aragoste migliori siano quelle del Mediterraneo, in particolare nelle acque delle isole e della Sardegna.
Come molti animali marini, l’aragosta è oggi sottoposta a pesanti stress di pesca, sia con le nasse che in particolare con le reti da posta. Si stanno facendo avanti sistemi di allevamento che rappresentano una forma di protezione e possono anche dare il via a sistemi di ripopolamento.