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Demolizioni navali, vince la Turchia

PIOMBINO – Si lavora duro, e alcuni degli obiettivi della joint venture NeriS. Giorgio del Porto sono in dirittura d’arrivo per il pieno utilizzo degli impianti in concessione dall’AdSP per le demolizioni navali e impegni accessori. Intanto a Genova finalmente sono stati aggiudicati alla S. Giorgio tre scafi da demolire, primo segnale di allineamento delle normative nazionali a quelle della UE.

Per poter operare nelle demolizioni – e con l’attuale costo del rottame ferroso il business si è fatto interessante – la società joint venture GIP, presieduta da Nereo Marcucci, ha dovuto realizzare autonomamente sia i collegamenti alla rete dell’energia elettrica, sia a quella dell’acqua. In più sono state costruite le vasche di decantazione, gli uffici, la cabina di derivazione e le strutture di quelli che saranno i capannoni per lavorare al coperto.

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Rimane il grosso problema – e definirlo problema è riduttivo – delle normative italiane ed europee per le demolizioni navali. Malgrado nei porti nazionale ci siano decine di navi da rottamare – che tra l’altro ingombrano a volte da anni le banchine – la maggior parte degli scafi che vengono “liberati” per la demolizione vanno in Turchia. Un business negato all’Italia e una normativa UE che ha riconosciuto ai cantieri turchi di operare prima e meglio che in Italia.

C’è anche, in corso d’opera, un’altra…fantasia: quella di alcune associazioni ambientaliste che stanno premendo sul governo per consentire, in alternativa alla demolizione, l’affondamento delle navi militari obsolete “per creare ambienti sottomarini di ripopolamento ittico”. Un procedimento che in altri paesi viene svolto semplicemente affondando appositi fasci di tubi di cemento dentro i quali possono trovare rifugio e nursery molte specie ittiche. Affondare le navi militari per questo scopo sarebbe – dicono i demolitori navali – come usare delle Rolls-Royce per trasportare il beta.

A.F.

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Pubblicato il
17 Luglio 2021
Ultima modifica
19 Luglio 2021 - ora: 15:15

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