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Fabrizio Vettosi sulla crociata di Fedespedi

Fabrizio Vettosi

MILANO – Caro direttore – ci scrive Fabrizio Vettosi, managing director di VSL Club Spa – consentimi per prima cosa una breve nota su un tema molto in voga negli ultimi giorni; ovvero la continua crociata della dottoressa Moretto di Fedespedi nei confronti degli armatori del settore container; “colpevoli” a suo parere di rendere il prezzo delle scarpe o capi di abbigliamento più caro per il consumatore finale. Sinceramente lo trovo poco consono, in quanto mi sembra più mosso dall’invidia di alcune categoria della filiera della logistica che da oggettiva razionalità. Non voglio didascalicamente ergermi a professore di economia aziendale, ma spesso nel nostro settore si confonde il reddito con la redditività: la prima è una misura assoluta di risultato, la seconda, molto più importante, relativa, ovvero il risultato (reddito) viene messo a confronto con la “forza applicata” (capitale). Faccio un banale esempio: se un’azienda passa dal guadagnare 100 in un anno a 300 nell’anno successivo ma il capitale investito aumenta da 1000 a 5000 la sua redditività è peggiorata anche se l’utile si è triplicato. Ancor di più l’analisi deve essere condotta in chiave spazio-temporale su un arco molto lungo (almeno 5 anni) per comprendere la dinamica strategica e qualitativa di un fenomeno.

Premesso che a molti sfugge che l’apparente boom non concerne solo il settore container, bensì anche il dry (ma nessuno ne parla in quanto a livello associativo è meno popolare e populistico) rammento che nel dry stiamo assistendo a rate di nolo simili a quelle viste nel booming time 2007-2009. Ciò deve indurci ad una prima riflessione: il costo del trasporto è anche frutto del valore della merce trasportata. Un anno fa il minerale di ferro quotava poco più di 100 $/ton, oggi il prezzo si è più che raddoppiato. Ma tornando al segmento container vale la pena ripassare a mente ciò che è accaduto negli ultimi tempi.

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Il segmento container, in linea con quanto avrebbero dovuto fare anche gli operatori degli altri settori, si è mosso con un approccio culturalmente più evoluto e razionale in linea con altri segmenti della logistica. Trattandosi di attività di linea, appare ovvio che la forte componente di costi centrali poteva essere ottimizzata solo con l’aumento delle dimensioni medie di impresa, e quindi si è dato luogo ad una stagione di intensa attività di M&A con la creazione di alcuni “campioni” non solo dimensionali ma anche operativi. Molti di questi Gruppi, infatti, si sono integrati verticalmente andando ad occupare aree della catena logistica a maggior valore aggiunto (es. attività terminalistica e forwarding, Intermodale e combinato ferroviario). Ad ogni modo vale altrettanto la pena indicare qualche numero:

Dal 1996 ad oggi gli armatori container hanno investito sul lato marittimo circa 348 bn. $ di cui il 40% (138 bn. $) negli ultimi 10 anni e messo in acqua 6.300 navi (2.200 negli ultimi 10 anni); e ciò senza considerare il refitting ed altri investimenti in tecnologia, IT, ed organizzazione.

Se volessimo esercitarci a computare una corretta remunerazione nell’ordine del 10% composto per anno sui succitati capitali investiti dovremmo affermare che questi avrebbero dovuto assicurare circa 23 bn. $ di profitto annuale.

Se andiamo ad analizzare i bilanci delle aziende del settore container vediamo che negli ultimi 10 anni queste hanno realizzato dei risultati molto magri (anzi potrei dire abbondantemente negativi per molti anni) e che il “rumore” generato dai risultati degli ultimi due anni non ci deve indurre in considerazioni errate e semplicistiche. I risultati attuali sono frutto di visione di lungo termine, strategia e razionalità, elementi che molto spesso mancano allo shipping in altri settori. Evidenzio che la stessa Fedespedi nel suo report, molto ben fatto, del 2018 citava testualmente in riferimento alle società container analizzate quanto segue: “Esercizi con Redditi Operativi negativi sollecitano l’adozione di strategie radicali, pena la continuità dell’impresa” (pag. 19). Sorprende ora vedere che la stessa Associazione lanci strali e proclami contro gli armatori container, ma purtroppo ciò è tipico della periodica “mutazione genetica” delle Associazioni vista tante volte nel nostro sovraffollato mondo Associativo.

Piuttosto il mondo dei servizi, incluso il forwarding, si dovrebbe interrogare sul perché sia rimasto cristallizzato nei suoi vecchi paradigmi quando, già da un quindicennio, le catene logistiche si muovevano verso l’integrazione, la digitalizzazione e la specializzazione. Molte delle nostre imprese sono rimaste botteghe familiari con tutti i pregi, ma anche con un difetto, ovvero il “nanismo” dei servizi in un’epoca di “gigantismo” infrastrutturale, e quando parlo di “gigantismo” non mi limito alla mera dimensione dell’asset navale. Perché non si è cercato di creare uno (od anche più di uno) campione Nazionale ?

Pertanto, piuttosto che gridare allo scandalo per i (presunti) 100 bn. di profitti degli armatori container varrebbe la pena da parte degli altri attori della catena fare un’indagine introspettiva ed attivarsi prima che non sia troppo tardi. In altri Paesi (Germania, Olanda, Belgio) il mondo delle spedizioni lo ha capito 15 anni fa.

Fabrizio Vettosi

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Pubblicato il
14 Luglio 2021

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