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Infrastrutture portuali: tante diagnosi assai meno terapie

ROMA – Sarà anche vero che l’analisi è sempre necessaria per intervenire sui temi: e tra le tante analisi che i temi di transizione come gli attuali propongono, quelle sull’influenza dell’economia marittima sul nostro paese è fondamentale. Purché all’analisi, con le relative diagnosi, venga fatta seguire il prima possibile una adeguata terapia. Il tema viene rimbalzato ormai quasi quotidianamente di tavolo in tavolo, spesso con il coinvolgimento dei massimi esponenti di governo.

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Come è successo ieri, martedì 15 giugno alle 14 nell’importante appuntamento col ministro Giovannini, sul tema shipping, infrastrutture ed economia marittima.

All’appuntamento ha preso parte la task force “finanza e infrastrutture” e “commercio e investimenti” del B20, insieme al G20. Hanno partecipato tra gli altri, oltre il ministro, anche Emma Marcegaglia, il presidente dell’International Chamber of Shipping Esben Poulssen, il presidente di Confitarma Mario Mattioli, Massimo Deandreis (SRM), Raffaello Ruggieri (Task Force “Finance & Infrastructure” del B20), Barbara Beltrame (presidente Task Force “Trade & Investment” del B20 e vicepresidente di Confindustria) e il segretario generale della International Chamber of Commerce John Denton.

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Gli interventi sono stati approfonditi, con proposte e suggerimenti mediati da evidenti pre-incontri con commissioni europee e nazionali: con un tema unico a costituire il “leit motiv”, la sostenibilità di tutto il sistema logistico sul mare. Navi, porti, ferrovie, viabilità, cargo su gomma e aereo, tutto si sta presentando all’inizio di quella che viene ormai indicata come “era della decarbonizzazione” come un obiettivo obbligato. Poco da contestare sulla necessità di ridurre l’inquinamento causato dai sistemi trasportistici. Ma negli interventi più realistici si è messo in dubbio il programma temporale. Ovvero: porre – come è stato fatto a livello UE – nel 2030 la grande svolta carbon-free su terra e su mare appare, ai più realisti, del tutto irrealistico.

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Lanciare l’anima al di la dell’ostacolo è sempre stato l’incitamento di chi vuole cambiare la realtà in meglio. Qui si tratta però di essere realisti su due temi: la volontà davvero comune dei paesi europei, e non solo a parole, di diventare carbon-free; e la copertura dell’enorme sforzo finanziario necessario. Sul mare, si sta lavorando a tutta forza: ma se alcuni armatori sono all’avanguardia mondiale – si vedano le nuove ro/ro di Grimaldi ed altre – la stragrande maggioranza delle flotte continua a marciare con carburanti fossili. E in quanto ai porti, le sezioni di rifornimento del GNL o i punti di prossimo sviluppo dell’idrogeno sono ben lontane dall’ideale. Tra l’altro ci sono incongruenze – citate anche nel dibattito – relative alla spinta ancora in atto da parte della UE per il “cold ironing” che nell’esempio italiano – unico impianto a Livorno, che però sta invecchiando ancora vergine – si è già dimostrato superato.

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Vorrei concludere questa lungagnata, del tutto atipica rispetto ai nostri interventi giornalistici, con una modesta considerazione: anche l’importante dibattito di ieri si è svolto tra funzionari, sia pure di altissimo livello. Armatori, gestori diretti della catena logistica, Assoporti e “alleanze”, si pur rappresentate da portatori di interessi sono rimasti a margine. Certo, non sono mancate e non mancheranno le loro voci anche in altre occasioni. Ma vorremmo tanto che fossero accelerate oltre alle diagnosi le terapie. E specialmente, accelerate tutti insieme.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
16 Giugno 2021
Ultima modifica
17 Giugno 2021 - ora: 13:52

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