La salute delle PMI ancora non migliora
ROMA – La crisi delle PMI continua. Una conseguenza prevedibile di un 2021 che è iniziato tra nuovi lockdown e contagi in aumento e un piano vaccinale che procede al rilento.
Ci siamo occupati per un anno – e giustamente – della salvaguardia della salute pubblica, sacrificando attività economiche e culturali. A guardare però oggi lo stato di salute delle PMI viene da pensare che forse si sarebbe dovuto fare anche altro. Non che non sia stato fatto: i prestiti garantiti del Decreto liquidità, i ristori e i sostegni: forse era il massimo possibile, ma non è stato abbastanza.
I numeri più aggiornati parlano chiaro: secondo Confcommercio, le cifre emblematiche del “gravissimo impatto economico e sociale generato dall’emergenza legata al Covid-19” (sono queste le parole di Enrico Postacchini durante l’audizione sul decreto Sostegni) sono i 128 miliardi di euro di crollo dei consumi nel 2020 e oggi il rischio chiusura di circa 300mila imprese del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato, di cui 240mila come conseguenza diretta della crisi di reddito e di liquidità. E la perdita di 200mila posti di lavoro.
Confcommercio fa una fotografia solo parziale, come dimostra il dato sulla disoccupazione. In totale secondo Istat i posti di lavoro persi per Covid sono già un milione. O per la precisione, da febbraio 2020 a febbraio 2021, 945mila. La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-590mila) e autonomi (-355mila) e tutte le classi d’età. Nell’arco dei dodici mesi, crescono le persone in cerca di lavoro (+0,9%, pari a +21mila unità), ma soprattutto gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+5,4%, pari a +717mila). E da giugno, quando presumibilmente il blocco dei licenziamenti disposto da decreto sarà rimosso, chissà quante fuoriuscite dal mondo del lavoro si dovranno fronteggiare (le previsioni dicono un altro milione di persone).
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Secondo Cerved, i posti di lavoro persi in caso di fine dell’emergenza a metà anno, ammonteranno a 1,3 milioni (l’8,2% degli addetti impiegati prima dell’emergenza), che porterebbe il tasso di disoccupazione dal 10% del 2019 al 15% a fine 2021. In caso di crisi protratta fino a fine anno, la riduzione arriva a 1,9 milioni di unità (-11,7%), con un tasso di disoccupazione che crescerebbe al 17%.
D’altronde i ristori non sono sufficienti. La soluzione? Confcommercio ha invocato “moratorie fiscali più ampie e una proroga della moratoria sui prestiti bancari unita all’allungamento dei tempi per il rimborso dei prestiti assistiti da garanzie pubbliche”. Il tema è sempre lo stesso: la carenza di liquidità, che dipende da mancati incassi e si ripercuote sui bilanci e pregiudica, a ben vedere, anche una ripartenza. Perché per ripartire c’è bisogno di investire e, ancora una volta, di liquidità.
E come ci si salva? Il consiglio di BorsadelCredito.it è quello di avere un atteggiamento proattivo e una mentalità da startup. Anche nei settori più in crisi – dai trasporti, alla ristorazione, ai viaggi – solo chi ha cambiato marcia, ha cambiato strategia, ha immaginato un futuro diverso sta già riprendendo quota. E potrà tenere livelli occupazionali e azienda. Pensare che però gli imprenditori ce la facciano da soli è anche questa pura utopia. L’impegno pubblico dovrebbe, a nostro avviso, essere più improntato a una visione strategica che tenga conto di quello che serve. Ovvero digitalizzazione massiccia, formazione e strumenti per la ricollocazione per chi alla fine di questa storia non ce l’avrà fatta e dovrà reinventarsi.
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