Le scadenze e i bicchieri mezzi vuoti
ROMA – Dunque se ne parla: eccome se ne parla! Malgrado stiano circolando anche all’interno delle AdSP molte perplessità sulla possibilità giuridica di riuscirci, l’ipotesi di un rinvio di un anno – o comunque di un tempo congruo – delle scadenze dei presidenti delle Autorità Portuali sembra adesso essere all’esame del Governo.
Che sia fattibile, vista la legge 84/94 che ha istituito le AdSP, è controverso. Ma le leggi si possono cambiare e l’attuale Governo ne ha cambiate molte con semplici decreti. C’è poi chi sostiene che non sarebbe nemmeno necessario un decreto legge, ma un più semplice atto ministeriale, riferito alla pandemia in corso.
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Sarebbe opportuno? Sarebbe producente? Ovvio che non bisogna chiederlo ai presidenti in scadenza. Pochi direbbero che bisogna procedere ai rinnovi senza rinvii. Più variegate le risposte dalle utenze: in alcuni porti è in corso una vera e propria battuta venatoria che ha lo scopo di cacciare il presidente (si veda il caso di Majo, ma non solo); in altri la politica e i partiti hanno già barattato la pelle dell’orso prima di averlo nel sacco; ci sono pressioni sulle Regioni, che devono concordare le scelte con il ministro. Eccetera. Niente di nuovo sotto il sole, sulle poltrone è sempre stato, più o meno, così.
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Sul piano della logica, ci sono parecchi elementi che farebbero da supporto al rinvio. Salvo pochi casi di presidenti che sarebbero risultati inadeguati – anche questi casi sono comunque di lana caprina – buona parte di quelli in scadenza hanno messo in atto iniziative, lavori, programmi, contratti, che un cambio della guardia come minimo ritarderebbe o bloccherebbe. Un nuovo presidente, magari con un nuovo segretario generale, avrebbe in ogni caso bisogno di mesi per prendere in mano la situazione, studiare quello che è in corso d’opera, stabilire le necessarie relazioni in loco. Ce lo possiamo permettere, di questi tempi concitati e confusi?
Non parliamo poi del supporto centrale. La famosa conferenza dei presidenti delle AdSP non è mai veramente partita, salvo qualche riunione per una chiacchierata e un caffè a sbafo dell’erario. Non è emerso, dai suddetti incontri, né un atto decisorio né almeno un documento indicativo. Eppure la commissione è stata istituita con grandi promesse da quasi due anni. Vuol dire che al Ministero ciò che fanno, che dicono, che chiedono e che analizzano i presidenti delle AdSP (e i loro Comitati di Gestione) non interessa un tubo? E la connessa decisione dei commissari “urgenti” per i lavori urgenti nei porti come s’intreccia con le scadenze? Se dovessimo valutare l’interesse del governo ai porti, bisognerebbe partire dalle risorse del rilancio destinate agli scali marittimi: solo il 4% dei fondi, praticamente poco più che ai monopattini e alle bici.
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Potrei andare avanti per un pezzo, ma preferisco chiudere: ricordando che buona parte dei porti delle AdSP in tempi di tragica pandemia mondiale – repetita iuvant – sia sanitaria che economica, alla fine dei conti hanno retto botta e continuano a operare scavando fondali, attrezzando banchine, elettrificandole, sanificandole, collegandole alle ferrovie, pianificando nuove aree, informatizzando e accelerando i servizi. I traffici in sostanza reggono anch’essi, con riduzioni solo in pochissimi casi drammatiche. Ci sono tanti bicchieri mezzo vuoti, è vero: ma ce ne sono anche di mezzi pieni. Vogliamo cercare di riempirli in collaborazione generale del sistema dei sistemi, o solo pensare a svendere e comprare poltrone in chiave partitica?
Antonio Fulvi
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