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Baci bacetti bacini

LIVORNO – Vorrei tornare un attimo sul tema del sistema dei bacini di carenaggio labronici. Nel numero scorso del giornale abbiamo “bucato” il cluster sulla notizia che l’AdSP ha finalmente deciso di uscire dal limbo e assegnare formalmente il sistema al vincitore della gara, il gruppo Azimut/Benetti + riparatori livornesi. Era una buona notizia e di questi tempi le buone notizie scarseggiano, così l’abbiamo sparata. Ne rivendichiamo il diritto. Adesso ci dicono che è tutto OK ma occorre un ultimo passaggio formale: l’annuncio nel Comitato di Gestione portuale previsto per il 30 ottobre, con la relativa benedizione. A Palazzo Rosciano sono d’accordo nel ritenere l’iter soffocante e eccessivamente burocratico. Ma è quello che passa il convento, rassegniamoci.

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Intanto il tema dei bacini di carenaggio in Italia si sta allargando. Pochi giorni fa il ministro del MIT Paola De Micheli ha promesso a Gioia Tauro un’accelerata al loro progettato bacino di carenaggio: che sarà un altro in aggiunta a quelli – parlando solo del Tirreno – di Genova, La Spezia, Livorno, Napoli e Palermo (se non ne dimentico qualcuno).

Che vuol dire, secondo me? Che l’abbandono in cui è stato lasciato il “bacinone” di Livorno per oltre un decennio, con la sete che c’è di questi impianti, grida vendetta al Cielo. Se poi davvero ora si riparte, lo si farebbe con limitazioni d’uso che sembrano mortificarne le dimensioni: e mi fanno notare che non si è indicato, nella gara, un termine di tempo ravvicinato per tornare in efficienza. Ci vorranno anni, dice qualcuno, per riavere il bacinone operativo al meglio. Invece abbiamo bisogno di lavoro, di lavoro e ancora di lavoro: non bastano i baci e i bacetti.

Adelante Pedro, ci servono i bacini. E presto, prestissimo.

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
17 Ottobre 2020

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