L’ANGOLO (del) MARITTIMISTA – Facciamo chiarezza sull’Art. 18, comma 7

Luca Brandimarte
Il nostro collaboratore e avvocato Luca Brandimarte, advisor for EU and legal affairs anche in Assarmatori, affronta oggi il tema riguardante l’Art. 18, comma 7.
Essendo tornato alla ribalta l’annoso dibattito del cd. “divieto di doppia concessione” di cui all’articolo 18, comma 7 della Legge n. 84/94 (di seguito “Legge portuale”) si ritiene di dover ritornare su questa tematica tentando di fornire un ulteriore quadro della situazione.
L’emergenza che stiamo tutti vivendo, in particolare nel settore dei trasporti, non deve impedirci di tirare le fila del discorso, evidenziando un punto importante nell’ambito di questo interessante confronto, che parrebbe essere rimasto fino ad oggi sotto traccia.
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Ai sensi della norma, il divieto di doppia concessione si identifica nel fatto che l’impresa concessionaria non può essere contestualmente titolare di due differenti concessioni ex art. 18 della Legge portuale nel medesimo porto, salvo che le due concessioni non abbiano ad oggetto attività tra loro differenti.
Il tenore letterale della norma appare oggettivamente chiaro. Da un punto di vista “formale”, infatti, il divieto di doppia concessione non verrebbe violato soltanto nel caso in cui nelle due aree in concessione – nel medesimo scalo – venissero esercitate attività diverse. È questo il cd. “principio della specializzazione”.
Fermo quanto sopra, quindi, la domanda da porsi è semplice e la risposta, invece, è complicata. Perché, in Italia, ogniqualvolta il legislatore impone un divieto si cerca di superarlo e, quando non vi si riesce, si dice che va cancellato?
Ora, ben venga discutere su come “risolvere” le varie questioni interpretative create dalla norma nell’ottica di un più ampio sviluppo dei traffici e delle attività portuali all’interno di un singolo scalo (e quindi Sistema Portuale). Tuttavia, il tanto contestato comma 7 non va inteso come ostacolo né tantomeno deve essere interpretato come disposizione desueta, né come norma che tutela la concorrenza all’interno del porto, cosicché un suo superamento possa portare alla “archiviazione” di un’eventuale violazione della stessa nell’ipotesi in cui, paventando un incremento dei traffici per quel determinato scalo, un soggetto già concessionario chieda e ottenga un’altra area in concessione per lo svolgimento di attività portuali identiche a quelle che gli sono state precedentemente assentite.
Questa interpretazione, che auspicherebbe la caducazione della norma in esame nell’ottica di favorire un maggiore sviluppo dei traffici a livello locale, non appare corretta e, ad avviso di chi scrive, non può (né deve) essere avallata per due principali ordini di motivi.
In primo luogo, il divieto posto dal comma 7 esiste fin dal 94’ e non lascia spazi interpretativi. Trattasi infatti di un divieto a prescindere. Non a caso già agli albori della Legge portuale, il nostro legislatore aveva ben chiara la sussistenza di questo divieto.
In sostanza, se il legislatore avesse voluto consentire il cumulo di due concessioni per la stessa attività, nello stesso porto, in capo al medesimo soggetto, lo avrebbe esplicitato nella norma in commento (così come ha esplicitato il principio della specializzazione). Già questo basterebbe a chiarire che una doppia concessione nel medesimo scalo il cui titolare effettivo sia lo stesso soggetto è vietata a prescindere dalla sua capacità o meno di ledere la concorrenza.
Ed è sulla stessa lunghezza d’onda di quanto appena detto che si sono poi poste, sia la giurisprudenza, sia l’AGCM che, anche di recente, hanno di fatto ribadito come l’assentimento ad un unico soggetto di plurime concessioni abbia come possibile conseguenza diretta quella di ridurre gli operatori e di conseguenza limitare l’offerta, esponendo gli utenti del porto a possibili abusi.
Quanto sopra, nonostante la presenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui il citato divieto non sarebbe violato qualora non si determini una posizione di dominio pregiudizievole della concorrenza; orientamento che, tuttavia, chiarisce anche in che termini ed a quali condizioni (eccezionali) tale scenario potrebbe risultare ammissibile, talvolta effettuando considerazioni di carattere logistico e geografico uniche nel loro genere.
In secondo luogo, e questo è forse il più delicato ed essenziale dei motivi che riguardano la questione di cui si discute, il comma 7 è sì finalizzato alla tutela della concorrenza ma non della comunità portuale, bensì degli utenti del porto e, soprattutto, dell’armamento.
Sembra banale a dirsi ma è pacifico che è la leale concorrenza tra imprese a sostenere lo spirito imprenditoriale e l’efficienza, a garantire maggiori possibilità di scelta da parte degli utenti del porto, nonché a favorire la riduzione dei prezzi, l’efficientamento della qualità dei servizi e quindi anche un maggior tasso di innovazione. Il tutto contribuendo così ad incrementare la competitività e l’attrattività dello scalo e dell’intero Sistema Portuale.
Ecco allora che, essendo il comma 7 posto a garanzia dell’accesso della competizione dello scalo per l’utenza che non può quindi trovarsi in quel porto in presenza di più accosti terminalistici detenuti da un solo soggetto, se c’è qualcuno che ha senz’altro voce in capitolo nel valutare la presenza di un eventuale pregiudizio concorrenziale, quel qualcuno sono quei soggetti a cui la norma è posta a tutela; soprattutto l’utenza armatoriale che scala quel determinato porto.
Va da sé che se ove contrariamente si avallasse una differente posizione sulla norma in esame, tesa alla abrogazione della stessa, ben potrebbero crearsi con maggiore facilità e frequenza situazioni di monopolio o cartelli tra imprese portuali attraverso il controllo di terminali da parte di un medesimo soggetto all’interno del mercato rilevante.
Situazione che, se si venisse a creare, sarebbe deleteria per il mercato e per lo sviluppo dei traffici dello scalo e del Sistema Portuale di riferimento, nonché per la stessa utenza, specie se uno stesso soggetto controllasse e gestisse unici impianti portuali.
Quanto sopra, dunque, nell’ipotesi di una caducazione della norma in esame, rischierebbe di non permettere al porto di rimanere competitivo né efficiente in termini di prezzi e servizi offerti sul mercato rilevante. E in questo senso, quindi, la dimensione di dominanza geografica di cui godono ad oggi alcuni importanti scali del nostro Paese, rischierebbe di perdere la sua specialità e quindi competitività.
In conclusione – nella speranza di aver fatto chiarezza sull’importanza del principio ispiratore dell’art. 18, comma 7, nonché del profilo di rilevanza della norma in esame – occorre dunque evitare, ad avviso di chi scrive, che il porto diventi luogo di pratiche restrittive della concorrenza attraverso la concentrazione delle imprese portuali terminalistiche (oltre che, naturalmente, in conseguenza di qualsiasi tipologia di abuso di posizione dominante), a discapito dell’attrattività e della competitività del porto stesso.
Ciò tenendo quindi sempre a mente che l’articolo 18, comma 7, della Legge portuale mira a garantire la concorrenza nell’interesse non certo delle imprese portuali, bensì degli utenti del porto (e quindi, in primo luogo, le compagnie di navigazione), che devono avere la possibilità di scegliere di quali servizi usufruire in ogni scalo di riferimento secondo offerte differenti.
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