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L’Italia che dovrebbe venire

ROMA – Ormai ce lo stanno dicendo in tutte le salse: ammesso che non lo si capisca già per contro nostro: l’Italia che ripartirà, quando ripartirà, non potrà più essere l’Italia di prima.

Ci dicono anche: dovrà essere un’Italia migliore, più giusta, più eco-compatibile, più snella e meno inchiodata dalla burocrazia.

Come programma non c’è che dire: bello, bellissimo. Però se proviamo a chiedere in che modo attuarlo, cominciano i dolori. Partiamo da un tema sul quale siamo tutti d’accordo: meno burocrazia, anzi burocrazia quasi a zero. Nei talk-show che la TV ci ammannisce ogni sera con una proterva ripetizione, nessuno dei soloni intervistati – e tanto meno dei soloni intervistatori – ci ha spiegato come arrivarci. Qualche furbetto ha accennato alla propria ricetta: facciamo una commissione nazionale. E io che sono ormai vecchio, di mestiere e d’età, non dimentico la sarcastica battuta di Giulio Andreotti: “Se non voglio risolvere un problema ci faccio una commissione”. La rivendo ai giovani: può servir loro.

Andiamo sul pratico: partendo dal codice degli appalti. Tutti lo criticano, anche quei politici che l’hanno varato. Ma i due tentativi di semplificarlo si sono risolti in pochi balbettii, senza cambiare la sostanza. Ho già scritto qualche tempo fa che con il codice il ponte ex Morandi di Genova non solo non sarebbe stato sostituito in tempi record, come è accaduto: ma staremmo ancora ad esaminare i progetti preliminari. Facciamo un commissario ad acta per ogni opera pubblica? Non scherziamo. E poi anche i commissari ad acta sono sottoposti alla mannaia: si veda l’ammiraglio Caligiore, che pure è un esperto del Ministero dell’Ambiente e un uomo di comprovata energia, che da mesi è bloccato per il recupero delle eco-balle finite in fondo al mare da contrasti tra burocrati. Eppure ci sono le risorse, ci sono gli specialisti, ci sono le ubicazioni esatte delle balle (grazie ai sub della Guardia Costiera) ci sono anche i siti per lo smaltimento. E allora?

*

In un recente articolo di fondo su Il Sole-24 Ore, Mariana Mazzuccato ha affrontato il tema dell’Italia che dovrebbe venire puntando sulla necessità di uno Stato che non si limiti a mettere cerotti sulle ferite del Covid, ma che sviluppi principalmente una nuova politica industriale. Ovvio, direte voi: il giornale è degli industriali, quindi Cicero pro domo sua. Però la ricetta è basata sulla digitalizzazione e sulle produzioni “green”: che non tutti gli industriali sono pronti a sposare.

“L’adozione di nuove tecnologie – scrive la Mazzuccato come conclusione – si presenta anche come un elemento fondamentale per indirizzare in chiave verde il rilancio della struttura produttiva italiana. In continuità con le misure ideate dal governo nella precedente finanziaria sui temi del Green Deal, la missione della transizione verde deve ispirare modello non solo improntato nel consumare diversamente, ma anche e soprattutto al produrre diversamente”.

Posso tradurre liberamente, almeno per quello che riesco a capire? Lo Stato dev’essere un programmatore deciso, una guida, un Deus ex machina: retto da governanti illuminati, lungimiranti, culturalmente e tecnicamente avanzati.

Totò avrebbe forse detto: ma mi facciano un piacere!

Antonio Fulvi

 

Pubblicato il
9 Maggio 2020

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