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In vino veritas

LIVORNO – Per dirla papale papale, la decisione di Veronafiere di rinviare la grande rassegna di Vinitaly dal 19 aprile a metà giugno (dal 14 al 19) ci sembra insieme un atto di coraggio civile, di responsabilità verso un settore produttivo di primaria importanza per l’economia italiana: e anche – lasciatecelo dire – una presa di coscienza che non è con il terrore irrazionale di una (inesistente?) pandemia che si può rilanciare questo Paese, ma nemmeno con la superficialità. Peccato per: ci avevamo fatto la bocca…

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Qualcuno aveva infatti preso la conferma di Vinitaly – in atto fino a un giorno prima del consiglio d’amministrazione di mercoledi scorso – come una indiretta accusa alle tante altre rassegne che invece sono state rinviate. Niente di tutto questo: tant’è che la stessa VeronaFiere a sua volta aveva già rinviato altre manifestazioni. E allora? Allora potremmo cercare di sorridere – e Dio sa se ce n’è bisogno di questi tempi! – ricordandoci che tra le misure consigliate dai virologhi per debellare il Covid-19 c’è il lavaggio ripetuto con l’alcool. Se ne può dedurre che qualche bicchiere di vino di più – vino italiano, non certe porcherie da chissadove – rappresenti una prevenzione efficace? Dai, proviamoci. Come terapia, non sarebbe poi tanto male.

Tornando alle cose serie, il rinvio di Vinitaly sarà un test per molti temi che di questi tempi sembrano sconvolgere il mondo. Rinvio responsabile, ma non certo per paura. Consoliamoci del resto: l’atteggiamento di saccente spavalderia di altri paesi europei, che ci hanno tacciato di essere cagasotto quando ancora il virus non l’avevano scoperto a casa loro, è già crollato. Adesso che ce l’hanno, la fiera tedesca del vino (ProWein di Dusseldorf) è stata subito cancellata ben prima della nostra, il Louvre a Parigi è sprangato, agli aeroporti di Londra si circola guardandoci da ogni vicino che non stia almeno a due metri di distanza, decine di compagnie aeree inchiodano i loro velivoli a terra. E siamo solo all’inizio.

Il vero dramma oggi, con tutto il rispetto per chi sta soffrendo in isolamento e per chi non ce l’ha fatta, è nelle conseguenze dirette di questa epidemia: che sia più che altro di paura irrazionale piuttosto che l’apocalisse, le conseguenze non sono tanto in qualche decina di morti (contro gli oltre trecento che ogni inverno miete la normale influenza) quanto nel disastro provocato nell’economia. Ed è un disastro vero, come ha scritto (lo abbiamo riportato il 1° pagina) il presidente di Confetra riferendo l’incontro con il ministro del MIT. Un disastro di cui vediamo oggi, secondo gli esperti, solo la punta dell’iceberg, perchè le merci che viaggiano in questi giorni nei nostri porti sono ancora “quasi” a livello normale, ma fanno parte dei contratti della fine dell’anno scorso: e il vero picco negativo ci sarà, si teme, nella primavera ormai prossima.

Intendiamoci, siamo l’ultima ruota del carro per annunciare previsioni: che siano disastri, o rilanci, o news più o meno fake sull’economia di domani. Chi scrive ne ha visto di peggio, avendo il privilegio (?) dell’età avanzata: dalla guerra mondiale, al terrorismo in casa nostra, dai disastri ambientali con migliaia di morti ai terremoti, dal tramonto dell’economia di Stato (comprese le grandi compagnie di navigazione pubbliche) alla disoccupazione giovanile che ancora impera e fa scappare all’estero le teste migliori. Ne abbiamo viste tante e in molte siamo stati capaci di rilanciarci. C’è anche un’ultima considerazione, che presentiamo sottovoce: non siamo eterni ed ogni giorno che lasciamo correre senza cercarci un qualcosa che vale per viverlo – un sorriso, un bambino di famiglia, una curiosità, per chi può un amore – è un giorno sprecato.

Forza allora con il vino. E viva Vinitaly, se ce lo lasciate proclamare. Cin-cin rimandato a giugno, ma ci rifaremo. Ed abbasso il Covid-19.

A.F.

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Pubblicato il
7 Marzo 2020

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