Dei delitti delle pene e Livorno
LIVORNO – Potrete anche definire queste note come una specie di modesta orazione ciceroniana: del tipo Cicero pro domo sua. Ma attenti: sul tema delle decisioni della magistratura in merito alle tante accuse piovute sui presidenti e segretari delle Autorità di Sistema Portuale e dei tanti operatori privati, il “caso Livorno” potrebbe essere la cartina di tornasole per tutta l’Italia.
Occhio dunque: venerdì prossimo 14 febbraio, se non ci sarà un ennesimo (ma non previsto) rinvio, la Procura della Repubblica di Livorno dovrà pronunciarsi se chiudere o meno il rinvio a giudizio dei dirigenti dell’AdSP e dei manager (tra cui importanti protagonisti dell’imprenditoria portuale) per le imputazioni che avevano portato anche alla loro sospensiva, bocciata poi dalla Cassazione.
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Non vogliamo né possiamo entrare nel merito della vicenda, che si trascina da oltre un anno ed ha comportato per gli imputati amarezze, mortificazioni, danni anche economici oltre che d’immagine. Molti di loro sono amici che conosciamo da tempi immemorabili: e dei quali siamo certi almeno di una cosa: la buonafede. Non sta a noi poi dare un giudizio sul piano giuridico e tantomeno su quello legale: i tribunali ci sono apposta. Ma possiamo almeno esprimere un auspicio nell’ambito della libertà che si dice sia sempre garantita alla stampa: quello che i magistrati giudici, seguendo anche le indicazioni dei tanti esimi rappresentanti della difesa degli inquisiti, riconoscano la piena correttezza degli interessati, espressa nell’ambito del legittimo – anzi, doveroso – lavoro per sviluppare i traffici del porto.
Che è poi il compito primario di ogni istituzione AdSP e il legittimo impegno di ogni operatore che su ognuno dei porti italiani crea lavoro e ricchezza. Ovviamente nel rispetto delle leggi. Auspicando che le suddette siano chiare, limpide e senza zone d’ombra, come non sempre sembrerebbe. Come del resto si chiede da secoli, a partire dal noto “Dei delitti e delle pene” di un certo Cesare Beccaria già a metà del settecento.
Antonio Fulvi
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