Le lezioni sul MOSE dal disastro di Venezia

Nella foto: 1) porto rifugio con conche di navigazione; 2) spalla; 3) schiera di paratoie; 4) spalla; 5) scogliera.
VENEZIA – Partiamo dal nome: MOSE è l’acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico. E va ribadito che si tratta di una realizzazione sperimentale ad oggi unica al mondo, costata un’enormità di soldi, circa dieci volte di più di quanto era stato preventivato al suo inizio, ma fortemente voluto.
Tutto ciò premesso, il dramma dell’“Acqua granda” di Venezia, che nei giorni scorsi ha impegnato mezzo mondo in valutazioni, critiche ma anche (per fortuna) solidarietà concreta, ha registrato anche tante inesattezze, qualche volta artatamente volute. E se sia il presidente dell’AdSP sia il direttore marittimo della Capitaneria hanno cercato di riportare i termini del problema sul piano delle realtà, molto c’è ancora da ricordare. Lo facciamo in termini estremamente sintetici, visto che di porti ma anche di città dei porti ci dobbiamo occupare.
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Primo dettaglio – Qualsiasi opera, specie se comporta elementi meccanici mobili, ha bisogno di manutenzione ciclica, tanto più frequente ed accurata quanto più è complessa. E le opere del MOSE, 78 paratie mobili, sono state letteralmente abbandonate sott’acqua da quasi cinque anni. Gridare allo scandalo se al momento del collaudo – almeno improvvido in quei termini, visto che si sapeva della mancata manutenzione – alcuni meccanismi non hanno funzionato, è per lo meno carognesco. Indipendentemente dal fatto se l’intero faraonico impegno sia o no davvero funzionale e possa funzionare.
Secondo dettaglio – Si è parlato del MOSE come di una diga. Sbagliato: perché gli elementi mobili che si alzano quando la marea supera 1,20 metri (“acqua alta” nella normalità delle maree a Venezia), le paratie, non sono tra loro stagni, ma fanno passare l’acqua del mare sia pure lentamente. La barriera serve a rallentare il flusso di marea e del vento: non è certo, né intende essere, uno sbarramento impermeabile. Ma la sua funzione – se funzionerà – è fare in modo che quando arrivano i picchi di marea vengano talmente rallentati nell’ingresso da non permettere di raggiungere altezze oltre la normalità veneziana prima che la marea torni a calare.
Terzo dettaglio – La storia del MOSE, tra aumenti di costi, tangenti, revisioni della gestione del cantiere, leggi e leggine, giustifica probabilmente la critica ribadita dei tecnici che se ne sono occupati ma anche che hanno seguito l’operazione dal fuori: e cioè che opere di questa portata andrebbero lasciate agli ingegneri e tenute lontano dalle influenze dei politici, siano esse in buona o in malafede. Con una postilla: quando interviene la magistratura a bacchettare i corrotti, non si fermino le opere, perché altrimenti intervengono i disastri. Il caso del ponte Morandi di Genova, dove i lavori sono stati svincolati dall’inchiesta sulle responsabilità penali, è una volta tanto un ottimo esempio. Perché il ponte sta rinascendo in tempi celeri, mentre ancora oggi sotto la spinta emotiva del disastro di Venezia, si può ipotizzare che il MOSE non sarà davvero operativo prima di due anni. Nè si sa come e chi lo gestirà. Che Italia è questa?
A.F.
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