Quegli inutili mega-costi della burocrazia
ROMA – Gli armatori italiani si trascinano al piede una palla che nemmeno gli ergastolani di antica memoria. E l’ha detto pari pari il presidente di Confitarma Mattioli nella recente assemblea: è il peso devastante della burocrazia nazionale che – ha detto di fronte agli imbarazzati ma impotenti membri del governo – “costa ad ogni nave italiana dai 40 mila ai 100 mila euro di adempimenti evitabili”. Che, ovviamente, i concorrenti di altre bandiere non hanno.
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A fronte di questa sola considerazione, viene da chiedersi perché i grandi armamenti nazionali – un tempo orgoglio della bandiera ma anche dell’economia – non abbiano sbattuto la porta e se ne siano andati, come ha fatto parte della grande industria – in paesi nemmeno troppo lontani, ma meno vessatori. Ci sarà anche l’orgoglio di rimanere italiani, che vale a tutti i livelli: ma ogni imprenditore ha la missione di fare business: e le flotte di Stato, che potevano permettersi di gravare sul contribuente, sono state cancellate (bene, male o malissimo: questo è un altro discorso) da decenni.
Concludo: c’è da augurarsi che l’assemblea di Confitarma non sia stata presa dal governo semplicemente come un rito, dove spendere qualche vaga promessa, assicurare che si farà meglio dei predecessori, e poi arrivederci e grazie. Mattioli ha parlato senza aggredire, seguendo il celebre consiglio di Roosevelt: “Speak softly but carry a big stick”: il grosso bastone per ora non è stato nemmeno agitato, o semplicemente mostrato alla lontana. Ma di fronte alla minaccia di far pagare agli armatori anche i costi dell’Autorità dei trasporti, tutte le innovazioni “green” chieste alle navi e ai porti, e di ritoccare (ritoccare?) le regole del registro internazionale, difficile pensare che tutto si risolva con un arrivederci e grazie da parte di Conte, De Micheli e Costa. Ci vogliono fatti e non più solo parole.
Antonio Fulvi
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