Livorno? Non pervenuto…

Gian Enzo Duci
ANCONA – Presidente Duci, nel decalogo delle azioni sblocca mare che ha presentato all’assemblea chiede di individuare 3 porti per l’internazionalizzazione della logistica italiana; a quali pensa? E quale futuro avrebbero gli altri?
Credo che l’Italia non debba abdicare dalla possibilità di avere un porto di transhipment perciò ritengo che Gioia Tauro debba essere uno dei tre porti su cui lavorare per l’internazionalizzazione; gli altri due sono i porti ascellari Genova e Trieste che per posizione geografica sono i più vicini ai mercati di sbocco. Gli altri porti devono essere al servizio di economie regionali. Un porto che poteva probabilmente aspirare ad essere un’alternativa ai porti Genova-Trieste poteva essere Livorno, in quanto unico ad avere i collegamenti su entrambe le direttrici ferroviarie che possono servire i mercati internazionali, ma in questo momento Livorno mi sembra “non pervenuto” sulla cartina geografica a causa di diatribe interne di gestione a mio parere non proattive rispetto alle opportunità che avrebbe potuto avere.
In una sua recente intervista aveva infatti identificato Livorno come possibile primo porto del Mediterraneo..
Le ragioni sono la sua collocazione geografica sul Mar Tirreno, soluzione migliore per le rotte Gibilterra-Suez rispetto all’Adriatico; il suo essere non troppo distante dai mercati di sbocco rispetto a Genova, e soprattutto il consentire con una singola toccata di andare lontano e servire mercati con distanze superiori a 400 km via treno con la possibilità di andare sia verso la Germania sia verso l’Austria. Possibilità questa che né Trieste né Genova hanno. Ma per far questo il porto di Livorno dovrebbe essere forte, unito, per chiedere a Roma – ed ottenere – i necessari adeguamenti delle opere infrastrutturali a mare garantendo come contropartita un livello adeguato di occupazione e di traffici e di competenza nel servire quei mercati. È un vero peccato che questa opportunità venga persa.
Presidente, pensa davvero che Livorno sarebbe ancora in tempo? Oggi vediamo crescere la concorrenza dei porti spagnoli, si avvicinano le prossime aperture di Vado e non solo..
Livorno ha perso delle opportunità ed allo stato attuale tutto questo è più difficile ma c’è ancora spazio se ragioniamo in un’ottica di servizio al sud dell’Europa in senso più ampio, in un’ottica di estensione della catchment area questa opportunità è ancora presente. È chiaro che più si affermeranno altre realtà portuali come Vado, come Calata Bettolo su Genova, più si ridurranno gli spazi sul mercato esistente, ma queste sono iniziative che hanno un senso se traguardano mercati diversi rispetto all’esistente, quindi da questo punto di vista non è tanto dei porti spagnoli che occorre preoccuparsi quanto del giro delle merci che pur transitando nel Mediterraneo finiscono nei porti del Nord Europa per poi scendere nel sud della Germania e in Svizzera. Quello è un mercato contendibile da Vado, da Genova, da Livorno e da Spezia a condizione che si riesca ad essere pronti; e Livorno avrebbe il vantaggio in più rispetto agli altri di poter guardare anche ai mercati che oggi copre Trieste. Venti anni fa si sarebbe dovuto puntare probabilmente su Livorno come porto d’Italia, oggi le due ascelle tendono a lavorare in maniera separata su mercati diversi, secondo me c’è ancora uno spazio di recupero sul mercato del Nord Europa ma non c’è più tempo da perdere o a quei mercati non ci arriveremo mai.
All’assemblea avete chiamato due giornalisti della grande stampa generalista per capire quale percezione hanno del settore e delle sue esigenze; la risposta ha confermato la sua invisibilità o, nel migliore dei casi, la poca attenzione che gli viene riservata a tutti i livelli. Si è parlato di particolarismi e di mancanza di unione come probabili cause… ma cosa resta da fare per smuovere questa apatia e dare finalmente ossigeno ad un comparto che produce ricchezza e benessere collettivo?
Sicuramente c’è un problema di settore: la frammentazione delle voci non è assolutamente utile. Ma anche quando le voci erano più unite non riuscivamo ad uscire dal nostro “orticello”. C’è quindi la necessità di lavorare su una comunicazione multilivello che calibri la portata della comprensione dei nostri messaggi all’utente a seconda dei mezzi utilizzati, riservando quelli più complessi a giornalisti di settore che hanno le competenze tecniche per entrare nella discussione specifica e veicolando al contempo messaggi più semplici al grande pubblico per intercettare chi ad oggi le decisioni le deve prendere, ossia i politici, le cui competenze tecniche purtroppo al momento sono di qualità veramente minimale. Certo è anche vero che il richiamo all’unità del cluster è corretto però a quel punto l’unità deve essere reale, per lasciare alle spalle quanto successo fino a questo momento. Al tavolo dobbiamo essere davvero tutti uniti e..realisticamente al momento questo lo trovo un discorso un po’ più difficile da praticare. Stiamo però osservando passi importanti in questo senso nel segmento della nautica dove, dopo una divisione precedente, si sta andando verso una ricomposizione. Spero che con modalità e forme diverse – che possano quantomeno prevedere il sedersi intorno ad un tavolo per cercare di uscire con una voce sola – sia possibile arrivare al risultato sperato. In altri paesi ci troviamo di fronte a governi che chiedono inderogabilmente di relazionarsi con un unico interlocutore di macrocategoria. Nel nostro sistema politico non siamo a questo livello di rigidità – ad oggi probabilmente perché anche da parte politica esistono difficoltà a capire i meccanismi del settore – ma ritengo che sarebbe utile, da parte nostra, una proattività in questo senso.
Cinzia Garofoli