Pecunia (davvero) non olet
ROMA – Della visita in Italia del premier cinese Xi Jinping, con la firma del primo accordo commerciale per la “Via della seta”, quotidiani e web hanno straparlato. Sottolineando anche, a nostro parere, alcune contraddizioni che non facilitano certo la comprensione dell’evento. La prima è che Macron ha sparato a zero contro l’Italia per l’accordo, salvo poi – poco dopo – ricevere a sua volta Xi Jinping, e non certo a cannonate. Della serie: come si permette l’Italia ad arrivare una volta tanto prima della grandeur francese?
La seconda contraddizione è che, al solito, il nostro governo ha insieme il dritto e il rovescio. Le beghe elettorali ed elettoralistiche non dovrebbero giocare così pesantemente su accordi intercontinentali di prima portata. Si mettessero d’accordo prima: sarebbe legittimo chiederlo.
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La terza contraddizione è che i critici dell’ingresso della finanza cinese sul mercato italiano sostengono che significa aprire le porte a un paese che viola i diritti umani, ma non hanno mai fatto una grinza sull’ingresso altrettanto bene accetto della finanza di altri paesi dove i diritti umani sono, per così dire, abbastanza aleatori: come certe monarchie arabe che grondano petrolio, solo per fare un esempio. Alla fine vale sempre l’immortale – e anche immorale, d’accordo – principio sancito fin da tempo dell’antica Roma: pecunia non olet, ovvero i soldi non hanno odore.
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