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La Luna e il dito che l’indica

LIVORNO – Siamo in tanti di questi tempi, a seguire il balbettìo della politica sulle infrastrutture italiane al collasso. Credo che anche in tanti ci staremo chiedendo che senso abbiano provvedimenti con i quali si chiudono strade, si sbarrano ponti, si riducono la portata di viadotti, senza considerare i problemi, i costi e i disagi degli utenti, specialmente degli autotrasportatori. Della serie: un ponte non ha avuto negli anni la regolare manutenzione e rischia di fare la fine del viadotto Morandi? Stop immediato ai transiti e chi s’è visto s’è visto. La paura di far vittime è pari a quella di finire sotto inchiesta della magistratura, con anni e anni di spada di Damocle sulla testa.

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E allora, chiudere dove c’è pericolo va bene, rischiare altre vite sarebbe criminale. Ma è altrettanto criminale, riteniamo, non preoccuparsi di chi, per lavoro spesso legato a tempi veloci, di questa chiusura diventa vittima. In Italia l’autotrasporto merci è prevalente sulla ferrovia malgrado tutti gli sforzi in atto. E non è per capriccio: l’orografia del paese, la tecnica ferroviaria che non accetta pendenze oltre a quelle assai più modeste delle strade,  le dimensioni delle gallerie, il fatto che su certe direttrici il trasporto su ferro imporrebbe di bucare colline e montagne come un gruviera, sono tutti elementi che obbligano a usare il Tir. Quando si può si ricorre al traghetto, che è una soluzione sulle lunghe distanze e sulle direttrici nord-sud o viceversa: ma non certo sulle trasversali o sull’asse centrale. Quando si può, va bene anche il treno, sempre sulle lunghe distanze e accettando tempi in genere superiori. Ma il Tir, il camion, la bisarca, il furgone rimangono la spina dorsale della logistica italiana per le merci. E lo rimarranno, a meno di riuscire a spianare l’Italia come una piadina.

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Far finta di dimenticarlo è altrettanto colpevole dell’aver lasciato andare in malora autostrade, strade, ponti, viadotti eccetera. E lo è, con tutti i risvolti economici e sociali che comporta, chiudere i tratti pericolanti senza preoccuparsi di creare alternative economicamente valide. A costo di supportare i trasportatori con riduzioni degli oneri fiscali, o bonus a compensazione dei tragitti più lunghi imposti dalle chiusure, o comunque altri aiuti. Perché il massacro della logistica su gomma non è solo una carognata che colpisce chi vi opera: ed è già una colpa. Si riflette in più, con costi moltiplicati, sulle merci, quindi sulla competitività del sistema Paese, quindi nelle tasche di tutti i cittadini.

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È anche per questo che i tanti, troppi dibattiti in corso nella feroce campagna elettorale di questi tempi, lasciano l’amaro in bocca a chi, lavorando nella logistica, si aspetterebbe provvedimenti e non chiacchiere. Le promesse elettorali, si sa, possono anche essere in buonafede, ma troppo spesso “passata la festa, gabbato lo santo”. Noi stiamo con chi lavora, difende il sacrosanto diritto di lavorare, e chiede che le valanghe di tasse sulle spalle di ciascuno di noi non si perdano in rivoli demagogici o superflui, ma vadano anche in strutture e infrastrutture. I cinesi sono stati capaci in pochi anni di mandare un  Rover sulla Luna. Noi, oggi, chiediamo all’Italia di pensare prima di tutto al dito che indica la Luna – la concretezza della nostra logistica di casa – e solo poi alla Luna, ovvero le grandi e lontane promesse di un mondo migliore come le fantasie dei villaggi dell’utopia hippy. Utopie, anche le nostre, di una serata di mezz’inverno?

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
16 Febbraio 2019

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