L’ANGOLO (del) MARITTIMISTA – Tassa portuale: com’è e a che serve.
Diceva un tempo il cinico Andreotti: le leggi per i nemici si applicano, per gli amici si interpretano. Cinico, ma realista. Perché troppo spesso in questo nostro paese i margini di incertezza non riguardano solo l’interpretazione delle leggi, ma anche l’impossibilità pratica – causa l’enorme proliferazione, cinque volte i codici anglosassoni – di conoscerne l’esatta portata.
Nel nostro piccolo, proviamo da oggi a dare una mano al lettore. Con questa rubrica che affronterà temi di stretta competenza. La apre e la porterà avanti un giovane legale livornese, il dottor Luca Brandimarte, junior advisor for EU and legal affairs anche in Assarmatori. Una precisazione: la rubrica, come tutto il nostro giornale, è sempre aperta a contributi e dibattiti. Alla via così.

Luca Brandimarte
ROMA – Tutte le merci in arrivo nei porti italiani sono tassate, in via diretta, ricorrendo a dazi calcolati sulla base di apposite tariffe doganali – come previste dal Regolamento (UE) n. 952/2013 del 9/10/2013 che ha istituito il Codice Doganale dell’Unione (CDU), basato su un sistema armonizzato diviso in sezioni e capitoli ordinati per tipologia di merce ed ormai consolidate e indiscusse a livello comunitario ed internazionale – nonché indirettamente, applicando le tasse portuali, disciplinate dal D.P.R. n. 107/2009.
Nello specifico questi tributi sono stati ad oggi ridotti da quattro a due, segnatamente: la tassa portuale, che viene versata dal caricatore e la tassa di ancoraggio, che invece è ad esclusivo carico dell’armatore.
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In particolare, la tassa portuale – da un lato – (relativa alle merci imbarcate e sbarcate) e la tassa di ancoraggio (commisurata alla dimensione della nave) – dall’altro – sono i tributi che i porti riscuotono da navi e merci che vi transitano e rappresentano il principale strumento attraverso il quale la nave e la merce concorrono alla copertura delle spese di costruzione, manutenzione e ammodernamento delle infrastrutture portuali.
Limitando la nostra analisi alla sola tassa portuale e non anche alla tassa di ancoraggio, per le ragioni di sintesi che questa sede ci impone, è importante evidenziare che sia la prima, che le altre tariffe doganali sono calcolate sulla base di apposite aliquote determinate in relazione a specifiche categorie merceologiche.
Tuttavia, giova osservare che, nel caso delle tariffe doganali, le merci sono univocamente classificate sulla base di una così ampia gamma di codici numerici, la cd. “Tariffa doganale del Sistema Armonizzato” (HS) – che in ambito comunitario assume il nome di TARIC (i.e. “Tariffa doganale comunitaria”), ovvero la tariffa doganale applicata nell’Unione Europea dal 1987 – tali da identificare la quasi-totalità delle merci in commercio.
Tale relazione univoca “codice-prodotto” non si riscontra, invece, nell’ambito della tassa portuale. In tal caso, infatti, le categorie merceologiche stabilite dal legislatore sono più generiche e creano, di conseguenza, maggiori “zone grigie” che sembrano lasciare ampio spazio alla libera interpretazione dei soggetti tenuti all’applicazione della normativa in questione.
Alla luce di quanto detto, assumono pertanto particolare rilievo le problematiche connesse alla tassa portuale e alla sua corretta applicazione. Detta tassa, infatti, è dovuta ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, comma 3-bis, e dell’art. 3, comma 1, del D.P.R. 28 maggio 2009, n. 107.
Inoltre a far data dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 107/2009, la disciplina delle tasse e dei diritti marittimi è stata modificata secondo i criteri stabiliti dall’articolo 1, comma 989, della legge n. 296/2006 o “Legge finanziaria del 2007”.
Si tratta, nello specifico, di un tributo commisurato alle tonnellate metriche di merce effettivamente sbarcata, che viene liquidato secondo un apposito tariffario predisposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Esso è periodicamente aggiornato da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli sulla base di determinate categorie merceologiche a cui corrispondono aliquote differenti associate ad un apposito codice tributo (i.e. COD 927).
Ora, in considerazione della genericità delle voci merceologiche, non è infrequente che gli operatori doganali, classifichino erroneamente le merci all’interno delle relative bollette doganali, da ciò derivando l’applicazione di aliquote superiori rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere applicate. Ne consegue, quindi, un maggior onere contributivo in capo ai “traders” marittimi e agli altri operatori di settore, cui tali tributi sono indirizzati.
Inoltre, ad aggravare ulteriormente la posizione contributiva di detti operatori, si noti che in determinati porti della Repubblica sono altresì previste, a discrezione delle singole Autorità di Sistema Portuale, due ulteriori aliquote variabili da porto a porto, con un apposito codice tributo: la sovrattassa su merci sbarcate e imbarcate e l’addizionale su merci imbarcate e sbarcate per l’espletamento di compiti di vigilanza.
Nello specifico, la sovrattassa su merci sbarcate e imbarcate (COD 934) è prevista dall’art. 5, comma 8, della Legge n. 84/94, secondo cui “le AdSP, a copertura dei costi sostenuti per le opere da esse stesse realizzate, possono imporre soprattasse a carico delle merci imbarcate o sbarcate […]”, mentre l’addizionale su merci imbarcate e sbarcate in un determinato porto per l’espletamento di compiti di vigilanza (COD 935) è prevista dall’art. 1, comma 984, della Legge finanziaria 2007, secondo cui “le Autorità Portuali sono autorizzate all’applicazione di una addizionale su tasse, canoni e diritti per l’espletamento dei compiti di vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza previsti nei piani di sicurezza portuali”.
Ecco allora che per i “traders” marittimi acquisisce fondamentale importanza verificare che le bollette doganali riferite alle merci sbarcate / imbarcate in un determinato porto contengano la corretta classificazione merceologica, al fine di evitare un non dovuto aggravio fiscale a proprio carico.
Quali sono, dunque, le azioni esperibili in caso di errata classificazione delle merci?
L’oggetto della tutela da azionare consiste nella richiesta di rimborso di quanto erroneamente versato dal “trader” a titolo di tassa portuale a causa dell’applicazione dell’aliquota riferita all’errata voce merceologica. Pertanto, al fine di poter ottenere la rettifica degli atti mediante i quali sono state erroneamente liquidate le tasse portuali, sarà possibile dapprima richiedere all’autorità competente il rimborso di quanto versato in eccesso e, successivamente, in caso di diniego da parte dell’amministrazione, agire in giudizio per il recupero di quanto richiesto.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra esposte, sarebbe auspicabile un intervento normativo in tema di tassa portuale volto a ridurre i margini di incertezza riguardanti le singole categorie merceologiche. Nell’attesa di un simile intervento da parte del legislatore, tuttavia, non resta che allertare “traders” marittimi e operatori di settore, affinché prestino maggiore attenzione in sede di applicazione della tassa sopramenzionata da parte del competente ufficio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, così da evitare un ingiustificato maggior onere contributivo a proprio carico.
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