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…Se in un Paese normale…

Vincenzo Onorato

LIVORNO – Il mese di settembre è tradizionalmente pesante. Per chi lavora, per chi programma, per chi governa. Anche perché dopo ferie e pause della politica, devono fatalmente maturare le scelte.

E veniamo al punto. In un Paese normale, le scelte si fanno. Non si rinviano, complici complicati meccanismi burocratici, incroci di competenze e freni sulle incertezze normative. Tre problemi a noi toscani vicini, tra i tanti, per esemplificare.

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È in corso, ormai da mesi, una guerra nemmeno più dissimulata tra due importanti gruppi armatoriali italiani, Grimaldi e Onorato. La concorrenza è una cosa ma una guerra così è diventata all’ultimo sangue. Coinvolge le istituzioni, ha spaccato il fronte una volta compatto della confederazione armatori, sta mettendo a rischio anche a Bruxelles il Registro Internazionale, rivanga il delicato rapporto tra servizi di continuità territoriale e regioni con le relative sovvenzioni, crea tensioni tra gli stessi lavoratori. Eccetera. Siamo arrivati anche alle denunce: contro l’ex deputato Mauro Pili da parte di Vincenzo Onorato, con richiesta danni milionaria. E con intervento immediato a sostegno di Pili, con accuse respinte al mittente, di Guido Grimaldi. Il web è pieno di roventi comunicati tra accuse e contro-accuse. Ci vorrebbe un giornale apposta per seguirle.

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Ebbene, in Paese normale, questa guerra fratricida che coinvolge anche l’intero cluster marittimo, avrebbe portato già da tempo un intervento dall’alto. Per pacificare, per riportare in un alveo istituzionale le reciproche istanze, per cercare – e specialmente per trovare – soluzioni. Stabilire chi ha ragione, chi ha torto: o come spesso succede, quali sono le ragioni e quali le eventuali forzature di entrambe le parti. Ma siamo in un Paese normale?

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Caso Piombino, secondo esempio. Da oltre due anni è nata una joint venture tra due importanti gruppi imprenditoriali, la PIM, con il progetto di utilizzare quella cattedrale nel deserto che lo Stato ha profumatamente pagato dopo il caso “Costa Concordia” e che da svariati anni è solo pascolo di gabbiani, malgrado gli enormi piazzali e le banchine anche a 20 metri di pescaggio. Nei giorni scorsi da Genova è arrivato un siluro: la PIM è un fallimento, non se n’è fatto di niente nè con le demolizioni navali (una delle mission di PIM) nè delle costruzioni e refitting. A livello pubblico qualcuno sta cavalcando la vicenda: e il retro-pensiero è che a qualche porto faccia comodo ufficializzare un fallimento. Un fallimento che non c’è. Perché in un Paese normale, il progetto presentato da oltre due anni da PIM alle istituzioni avrebbe già completato il suo iter: con un si o con un no, ma completato. Invece in questo Paese il progetto PIM va avanti a passo di tartaruga perché non c’è ancora il permesso a costruire del Comune, l’autorizzazione a demolire vecchie strutture, il nulla osta della Regione sui temi ambientali, né esiste il necessario raccordo delle aree con energia elettrica, acqua e gas (competenza, mi dicono, dell’AdSP). Nel frattempo PIM non è stata con le mani in mano: ha adempiuto – mi assicurano a Piombino – a tutti gli obblighi chiesti dalle pubbliche amministrazioni. Ma non solo: ha analizzato con la Marina Militare gli interventi di demolizione navale, accordandosi (per quanto in via ufficiosa, essendo ancora in una situazione “In fieri”) per la demolizione di almeno tre sommergibili in disarmo tanto per cominciare. E da più di un anno ha trasferito a proprie spese la ventina di sponsons della “Costa Concordia” da Genova – dove ingombravano – con un progetto di cui si è parlato più volte di farne un bacino galleggiante. In un Paese normale, affamato di lavoro e di iniziative, due anni per avere le basi con le quali partire non sarebbero uno scandalo?

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Comitati di gestione delle Autorità di sistema; esclusione dei sindaci delle città portuali espressamente sancito dalla riforma della riforma portuale di Delrio, rivolta delle stesse città portuali guidata dal sindaco (5stelle) di Livorno Filippo Nogarin. Sul braccio di ferro ce la menano da quasi un anno. Vabbene, c’è stato il cambio di governo. Vabbene, il ministro Toninelli l’hanno travolto nella tragedia del ponte di Genova. Vabbene, 5Stelle e Lega sembrano più costretti a vedersela tra loro che sui problemi del Paese. Nel frattempo i sindaci fanno più o meno la fronda sulle decisioni – anche quelle sensate – della AdSP; le Autorità marittime rivendicano il loro ruolo decisionale contro le Autorità portuali; il coordinamento nazionale tra le AdSP balbetta, il MIT non se ne parla. Davvero, se fossimo in un Paese normale…

Antonio Fulvi

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Pubblicato il
22 Settembre 2018

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