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La lanterna di Diogene e i traffici

LIVORNO – Dall’avvocato Giorgio Gionfriddo, già segretario generale dell’Autorità portuale labronica, riceviamo:

È tempo di bilanci e di statistiche, naturalmente parziali e riferite al precedente semestre. I porti valutano le percentuali di traffico registrate nel periodo e si considerano approfondite analisi sul movimento delle merci, non solo quantitative, ma anche qualitative, verificando quali settori merceologici manifestino aumenti o diminuzioni, al di là del tonnellaggio totale e studiando pure l’entità dei movimenti delle navi e le variazioni di tonnellaggio in arrivo/partenza, con annotazioni, in generale, che spesso indicano diminuzioni di numeri di arrivi, con contemporaneo aumento della stazza lorda, indice della riconosciuta tendenza all’incremento della dimensione dei vettori marittimi, finalizzata alla realizzazione di economie di scala. Si fanno persino classifiche dei porti sui quantitativi di tonnellaggio (dove Livorno è ….esima).

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A questo proposito, l’efficienza traducibile in termini  economico-imprenditoriale, giustamente guarda alla velocizzazione dei cicli produttivi, alla riduzione dei tempi di permanenza a banchina ed all’adeguamento (faticoso ed oneroso) delle strutture ed infrastrutture dello scalo.

Livorno non fa differenza. Gli  studi si calibrano sulla nuova realtà dei sistemi portuali, nell’ottica  realizzazione dell’ integrazione fisica degli scali accorpati per legge.

Comunque, si nota che ciò che conta, come naturale, è la merce. La sostanza e la misura dell’efficienza e dell’importanza di un porto, tra cui Livorno, è data infine dalla quantità della merce.

Cominciano ad esser resi pubblici, con i dovuti tempi di elaborazione, i dati riferiti al primo semestre del Sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale.

Si può essere moderatamente soddisfatti che lo scalo di Livorno, “main port” del nostro sistema, abbia raggiunto nel primo semestre dell’anno una movimentazione complessiva di oltre 18 milioni di tonnellate di merci (+ 7,1% sullo stesso periodo dello scorso anno), con apprezzabili incrementi nel settore del traffico ro-ro (8 milioni di tonnellate: + 17,4%), e delle merci convenzionali (+13,7%), più modesti per le auto nuove (0,3%), ed una leggera flessione (-5,2%: 362.108 teus) della movimentazione dei contenitori, penalizzata per la nota ridotta profondità dei fondali. Anche le merci alla rinfusa manifestano leggeri ridimensionamenti (-0,5% per i liquidi e -1,1% per i solidi), e così via. In buona sostanza, tra alti e bassi, una tenuta del traffico delle merci: un quadro non negativo, ma non particolarmente esaltante su taluni fronti.

Anche il trasporto dei passeggeri, in una valutazione che le persone, cioè i crocieristi e gli utenti dei traghetti, vengono considerati, un po’ riduttivamente, anch’essi “merce”, denota un quadro sostanzialmente positivo, che fa ben sperare per i risultati di fine anno: 303 mila crocieristi (+24,5%) 842 mila “traghettati” (+14,00%).

A questo punto mi viene spontanea una associazione di idee. Chi non ricorda Diogene, acuto ed intelligente filosofo del IV secolo a.C. (anche se con atteggiamenti spesso originali), del quale si dice – nell’aneddotica tradizionale,  chissà se vero – che in pieno giorno uscisse con una lanterna in mano ed a chi gli chiedeva spiegazione di tale curioso comportamento, come risaputo, rispondeva: ”cerco l’uomo”.

L’uomo che filosoficamente cercava Diogene era l’essere umano che sapesse vivere secondo la propria autentica natura, senza convenzioni ed infingimenti, quale strumento per raggiungere la felicità.

L’uomo, più prosaicamente, che io vorrei cercare è invece quello che spesso non ritrovo nelle statistiche portuali di cui sopra ho accennato. Tutta la mia lunga precedente, alquanto noiosa e scontata premessa pone l’accento sul fatto che la valenza dei porti viene misurata – quasi unicamente – in quantitativi di merci movimentate. L’analisi sulle variazioni della merce è ragionevolmente  il parametro più naturale e riconosciuto dell’andamento di un porto e, tradotto, l’indice accettato del trend economico della città portuale ed anche del suo Hinterland: se questo è favorevole, ovviamente, non possiamo che esserne orgogliosi.

Ma – pur cercando con una ideale lanterna – ciò che spesso non ritrovo tra le statistiche, proprie di questo periodo, sono quelle riferite concretamente alla presenza dell’“uomo” sulle banchine e nei terminal e pure nell’indotto dei servizi del porto.

Se il porto è e rimane il cuore pulsante dello stato di salute della città e settore strategico della sua economia, mi chiedo se possa valutarsi la possibilità e l’opportunità di porre al centro dell’attenzione il fattore “uomo”, non dovendo perdersi di vista la connessione tra l’attività del porto ed il lavoro umano, di qualificazione operativa, tecnica od intellettuale che si voglia, e cioè, in parole semplici, quanto la valutazione delle merci movimentate determini concretamente l’andamento del lavoro portuale. Ciò sarebbe utile per evitare che l’esame della produttività merceologica del porto rimanga un dato matematico sterile, che ci può rendere più o meno soddisfatti, oppure resti solo un elemento di posizionamento in una teorica classifica di scali in competizione. Naturalmente, questa mia segnalazione vale per il porto di Livorno, come per gli altri porti del sistema portuale.

Pur riconoscendo che in termini derivati l’andamento delle merci non può che essere collegato ad una (si spera non ipotetica) occupazione, sarebbe interessante e di maggior immediata conoscenza la consapevolezza di quanto il flusso delle merci si traduca in termini di occupazione e di conseguente sostegno della comunità che vive nell’ambito del territorio. Peraltro, è noto che il porto, con la crisi dell’industria, e con un terziario in difficoltà, quale riscontriamo ogni giorno nei mezzi di informazione, rimane, specie nelle due città di Livorno e Piombino, uno dei principali ed ambìti punti di riferimento di ricerca del lavoro.

Allora, perché non dare risalto e attenzione, insieme alle statistiche relative alle merci, elaborate dagli uffici-studi istituzionali (e poi, dai mezzi di informazione), anche ai numeri ed alle statistiche che concretamente si registrano per la nuova occupazione (o per la decrescita delle stessa), magari anche fornendo dati per settore sulle ore lavorate? Credo che gli uffici ora detti possano avere e/o acquisire gli elementi necessari per questi tipi di analisi.

Gli strumenti non mancano.

Giorgio Gionfriddo

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Pubblicato il
5 Settembre 2018

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