Moby Prince, l’ultima verità
ROMA – E allora la nebbia non ci fu, i soccorsi arrivarono in ritardo e forse se tempestivi avrebbero salvato un pò di gente, la petroliera Agip Abruzzo era fuori dall’area d’ancoraggio consentita, l’inchiesta del tribunale di Livorno fu lacunosa e con molti punti oscuri. Queste le conclusioni della commissione parlamentare d’inchiesta, presentate mercoledì alla stampa e ai famigliari delle vittime, convenuti a Roma con il sindaco di Livorno Nogarin, parlamentari e consiglieri regionali. Il clima è stato – e non poteva essere altrimenti – di commozione ma anche di rabbia, di liberazione per coloro che erano convinti ci fossero stati grandi errori, e di minacce di tornare a rifare il processo. Uno degli elementi più significativi e sconvolgenti che l’inchiesta parlamentare ha certificato – costruendo il suo verdetto in due anni di lavori e 110 sedute – è che le vittime sopravvissero alla collisione almeno un’ora, in gran parte raccolte nella sala che avrebbe dovuto proteggerle con porte ignifughe e impianti antincendio: perché secondo le perizie svolte allora sui poveri resti, si parlò di morti soffocati dal fumo o bruciati dalle fiamme in pochi tragici minuti.
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Il rapporto della commissione parlamentare, secondo le prime notizie, verrà inviato alla procura della Repubblica con la richiesta dei famigliari delle vittime e della stessa commissione di riaprire le indagini. Con una raccomandazione di Angelo Chessa, uno dei figli dello sfortunato comandante del Moby Prince perito con la moglie nella sciagura. “Non alla procura di Livorno: ha dimostrato di avere troppi condizionamenti”.
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