Gorgona, l’isola dei tre cuori
LIVORNO – Una sala piena fino all’ultimo ordine di poltroncine, come non si vedeva da tempo: così il pubblico a villa Henderson, sede del Museo di storia naturale della Provincia, per la presentazione del libro di Giorgio Galletta “Gorgona, l’isola dei tre cuori”. E anche se non c’è stato praticamente dibattito – il bravo Galletta ha monopolizzato la serata e Nicola Di Batte ha potuto solo presentare in apertura l’isola cui è tanto attaccato per tradizione familiare e per amore – la serata è trascorsa con tanti, tantissimi cuori in piena comunione. Perché Gorgona “è” un pezzo di Livorno, ma non solo: è il sogno della natura incontaminata davvero alle porte di casa, mezz’ora o poco più di gommone; e insieme è un “paradiso perduto” alla Milton, dove i pochissimi abitanti si mantengono attaccati come le patelle al loro scoglio e non sanno se sognare la sua “liberazione” dalla colonia o mantenerla così, ingabbiata ma quasi incontaminata.
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Il libro di Giorgio Galletta aiuta molto a voler bene a quest’isola che pochi, davvero troppo pochi livornesi, conoscono davvero. La vediamo all’orizzonte, e nelle notti serene di tramontana s’intravedono dall’alto del Romito anche le fioche luci della colonia penale. Al contrario, dalla Gorgona s’intravedono i barlumi della città che illuminano le nuvole e persino i fari delle auto; e anche per gli agenti di polizia penitenziaria, molti dei quali giovani o con le famiglie in continente, non è facile una separazione che sembra di poche miglia ma che spesso dura settimane.
E’ un paradiso, appartiene al Comune di Livorno, fa parte del parco dell’Arcipelago Toscano, è il cuore del Santuario dei cetacei: ma è anche l’ultima delle colonie penali agricole che lo Stato italiano mantiene. Con crescente fatica, con crescenti limitazioni anche per i pochissimi residenti che hanno mantenuto la voglia e il diritto di difendere un’identità creata assai prima che l’isola diventasse carcere. Nel suo libro Galletta – che è figlio di un agente di polizia carceraria, quelli che nell’antichità erano chiamati “secondini” – ripercorre la storia di alcune delle famiglie, e la documenta con belle foto anche d’epoca. Con un rnigraziamento anche a tre personaggi che per l’isola si sono spesi tanto e continuano a spendersi: Carlo Mazzerbo e Marco Verdone, ma specialmente Nicola Di Batte “per la continua collaborazione”. Davvero tre cuori, ciascuno con le sue diverse visioni di questo scoglio a volte maledetto ma sempre amato. E che forse meriterebbe una maggiore dignità e un maggior interesse anche da parte della città di cui è un affascinante ma troppo dimenticato brandello.
(A.F.)
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