I fondi d’investimento nei terminal: la finanza padrona della logistica?
GENOVA – La notizia era da tempo attesa, e in sostanza mercoledì scorso c’è stata solo la formalizzazione ufficiale. Come avevamo pubblicato nell’edizione dell’11 febbraio, il Gruppo D’Investimenti Portuali GIP, titolare dell’80% delle azioni del Terminal Darsena Toscana di Livorno oltre che del 60% di Sech, del 35% di Vte, il 50% di Cala Bettolo e il 35% del veneziano Vecon, ha venduto ai fondi d’investimento Infracapital e InfraVia le sue partecipazioni. Escono da GIP il chairman Luigi Negri, le famiglie Cerruti e Magillo, mentre rimane con il 5% Giulio Schenone, designato a nuovo amministratore delegato. Operazione – dicono – da 300 milioni almeno.[hidepost]
L’operazione conferma, prima ancora di darle una valutazione finanziaria sulla strategia dei Fondi d’Investimento internazionali, la necessità per i terminal containers di sostanziose immissioni di capitale per far fronte alla rivoluzione della logistica navale, con navi sempre più grandi che richiedono terminal sempre più costosi dotati di apparecchiature ed arredi altrettanto onerosi. Molti dei terminal italiani – ma non solo – fanno fatica oggi a reperire i fondi necessari per adeguarsi: specie quelli che sono nati dall’intuizione di singoli operatori portuali o da lungimiranti aggregazioni di piccole e medie società di persone, che sono state in grado di crescere e svilupparsi negli anni d’oro (per fare un esempio, GIP nel 2016 ha movimentato in Italia 2,6 milioni di Teu, secondo il comunicato ufficiale diramato giovedì).
Al di là delle dichiarazioni ufficiali di Luigi Negri (“orgoglioso di aver fatto uno dei più importanti gruppi terminalisti italiani, sicuro che con i Fondi ci sarà un importante next stage di sviluppo di GIP, io non mollo ma mi concentro”) e di Ed Clarke e Vincent Levita, rispettivamente Ceo di Infracapital e InfraVia (che hanno entrambi sottolineato le esistenti partnership con PSA e MSC) saranno le strategie di investimenti a breve a far capire quali indirizzi prenderà la nuova “governance” dei terminal. In particolare quella del TDT livornese, dove GIP ha la maggioranza assoluta e con la nuova gestione si trova, nel concreto, il vantato partner MSC che ha lasciato il terminal per “migrare” sull’altra sponda della Darsena Toscana. Un dettaglio piccolo piccolo nella grande strategia europea del terminalismo, ma non così minimale per il porto.
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Significative delle strategie di Infracapital e di Infravia sono le dichiarazioni raccolte in un workstorm di fine 2016 da “Roundtable”, dedicata all’European Found Management. Con il significativo titolo di “Weathering the storm” (prevedendo la tempesta) il dibattito è partito dalla domanda se il mercato europeo sarà in grado di sopravvivere malgrado i nuovi nazionalismi e protezionismi, dopo Brexit e dopo Trump. La tesi, ovviamente di parte, visto che hanno partecipato tutti dirigenti ed advisor dei Fondi d’Investimento, è che non ci sono alternative all’ingresso dei Fondi stessi nei terminal e nella catena logistica europea, perché nessun gruppo terminalista o quasi è da solo in grado di far fronte a quella che il professor Bologna ha chiamato “la tempesta perfetta”. E si ipotizzano nuove tecnologie fantascientifiche per molti di noi, come l’informatica ancora più spinta, i droni da trasporto, forse nuovi rapporti con i grandi merger armatoriali. Un mondo da fine del mondo che conosciamo.
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Proviamo per un attimo a trasferire questi principi in un’ottica piccola piccola, quella cioè di ogni singolo terminal GIP da domani sotto la guida (almeno economica, ma non solo) dei Fondi. Il TDT livornese sarà la cartina di tornasole, perché è quello dove c’è la maggioranza schiacciante di GIP: ma è anche quello dove a fianco dei Fondi rimangono sia Luigi Negri sia l’importante e vitale gruppo Neri nella comune componente Cilp insieme ai portuali. Qui non si tratta di semplici calcoli di quote azionarie: si tratta di capire quali delle strategie fino ad oggi seguite sarà confermata. Non è un mistero che TDT si sia considerata, in questi ultimi anni, la naturale aspirante alla piattaforma Europa; e oggi con l’ingresso in forze dei Fondi non le mancherebbero certo gli assets finanziari per partecipare alla gara. Anche e specialmente se si partirà (vedi in queste stesse pagine con la Darsena Light). Oppure?
Antonio Fulvi
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