La Brexit nella UE degli zucchini
LIVORNO – Dall’osservatorio certo periferico e non specialistico di queste nostre pagine, il cataclisma che si è aperto con la Brexit in Gran Bretagna appare con un’unica certezza: quella della più profonda incertezza.
[hidepost]I soloni dell’economia mondiale si sono espressi in termini tali da farci rimpiangere, ancora una volta, la fulminante sintesi dei giudizi dei nostri avi romani (“Carpent tua poma nepotes”, Virgilio, IX Le Egloghe). Che tradotto in volgare ci ricorda come saranno i nostri nipoti a pagare il fio di tante nostre scellerate scelte e non scelte. Compresa quella di affidare a dei referendum, per definizione risolti dalla gente con la pancia e non con il cervello, temi di grande portata economica, storica e anche culturale che dovrebbero essere affidati alla “democrazia delegata” dei parlamenti (altrimenti ci si spieghi a cosa servono i parlamenti stessi, con i loro altissimi costi e i privilegi che vengono loro accordati perché si facciano carico delle scelte in modo meditato e “scientifico”).
Poche considerazioni, e scusatemi se potrei meritarmi anch’io la sculacciata di Apelle (Sutor, ne supra crepidam”, Plinio Storia Naturale), per invitarmi, da calzolaio, a non dare giudizi oltre alle mie competenze sulle scarpe. Non pretendo di capire, né tantomeno di spiegare, la reale portata del Brexit, lo shock globale che qualcuno ipotizza, il rischio politico per l’Europa e non solo, l’impatto possibile per l’Italia. Mi sorprende, ma solo fino a un certo punto – e qualcuno oggi ci sghignazza – il terrorizzato dietro-front degli oltre 3 milioni di inglesi che si sono affrettati a chiedere un nuovo referendum: a conferma che tanti hanno votato con la pancia, senza usare le meningi, salvo poi valutare a posteriori.
Cercando di coniugare pancia e meningi, vorrei solo chiudere con una speranza: che la Brexit, comunque vada a finire, serva a cambiare profondamente questa Europa dei burocrati, dei politici scansafatiche, della finanza Uber Alles, delle regole sulla lunghezza degli zucchini e dei preservativi ma non sulle reali esigenze degli europei. Può essere un’occasione? D’accordo, mi cheto, Ne supra crepidam. Però non toglieteci anche le speranza che dal peggior cataclisma si possano tratte insegnamenti positivi. Di quest’Europa di oggi, fatto salvo il principio e i grandi valori, chi di non non vorrebbe cambiare molto, moltissimo, o addirittura quasi tutto?
Antonio Fulvi
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