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Pierluigi Maneschi: il mistero Cina e le occasioni perse

Pierluigi Maneschi

TRIESTE – Due settimane fa il ministro Delrio ha ricevuto l’ambasciatore della repubblica popolare cinese in Italia, dottor Li Ruiju sui temi della collaborazione tra i due paesi in particolare in campo portuale e logistico. Ma la Cina, di cui si parla molto in questi ultimi tempi per un rallentamento atipico della sua crescita, è davvero in un momento difficile? Ed ha le risorse per tornare ad essere la locomotiva economica di parte del mondo?
Ne ha parlato, con la conoscenza di decenni di lavoro proprio sui mercati del Far East, l’imprenditore italiano Pierluigi Maneschi nel corso di una serata organizzata dal Propeller Club triestino, con il vicepresidente di Osservatorio Asia Romeo Orlandi e Marco Spinedi presidente dell’interporto di Bologna.
[hidepost]Differenziando una parte della propria analisi da quella degli altri interlocutori, Maneschi ha sottolineato che la Cina, con i suoi processi sia economici che sociali “rimane il mistero di un paese che si è velocemente ammodernato nelle infrastrutture ma è rimasto legato a formule in parte arcaiche nella loro governance”.
L’amarezza di Maneschi però è un’altra. “L’Italia è stata tra i primi paesi d’Europa ad avviare rapporti privilegiati con la Cina negli anni ’90 – ha detto – rapporti che poi si sono perduti, e non certo per volontà dei cinesi”. I riferimenti alla lunga lotta che Maneschi ha svolto con Evergreen per fare dell’Italia un hub fondamentale per la compagnia asiatica sono facili, e possono far capire quali e quante occasioni l’Italia dei porti e della logistica ha perso per l’incapacità di fare scelte strategiche. “In Cina, sia pure con tante disuguaglianze com’è fatale in un paese così grande e così popolato – ha detto ancora Maneschi – cresce il Pil ed aumenta il, benessere. Noi italiani non abbiamo il diritto di dare giudizi – ha aggiunto perché non siamo stati capaci di fare altrettanto. Anzi: noi siamo cresciuti facendo debiti e adesso è arrivata la resa dei conti”.
Un giudizio amaro ma fondato da chi ha creduto fino in fondo in un rapporto privilegiato, fino a investire tempo, risorse e impegno personale, combattendo contro un Paese, il nostro, per troppo tempo bloccato dall’incapacità di stare al passo con il mondo.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
13 Aprile 2016

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