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Schengen: quanto costerebbe sospenderne oggi l’operatività

I costi diretti su merci e persone e i riflessi economici indiretti – Gli interventi

Tra il pubblico, Umberto Masucci, Giorgia e Giorgio Bucchioni.

LIVORNO – Se ne parla ormai da tempo. E come sempre la politica è spaccata in due, tra chi vorrebbe contrastare il terrorismo chiudendo le frontiere, e chi propone altre soluzioni, da quelle più radicali con i tamburi di guerra, a quelle più utopiche. Il tema è se congelare o meno il trattato di Schengen, ovvero rinunciare all’Europa senza barriere interne. Se n’è parlato in Fortezza Vecchia per iniziativa del Propeller Club livornese, per la prima volta anche con un serio tentativo di quantificazione delle ricadute economiche che deriverebbero dalla sospensione del trattato. Presenti all’incontro molti imprenditori della logistica, sia locale che della Regione, con l’intervento anche degli spezzini Bucchioni padre e figlia, in rappresentanza del loro Propeller.
[hidepost]Avrebbe dovuto aprire i lavori il governatore della Regione Enrico Rossi, che però ha dato buca. Ha invece portato un suo breve saluto il sindaco di Livorno Filippo Nogarin, mentre non s’è visto nessun “apicale” dell’Authority. Peccato anche per l’ormai confermata inadeguatezza dell’impianto fonico della pur splendida sala Ferretti: metà degli spettatori s’è persa quasi il cento per cento degli speach.
L’introduzione del presidente del Propeller Maria Gloria Giani ha ricordato come nei movimenti legati alle merci e ai passeggeri i nodi delle reti europee della logistica sono, con i porti e gli aeroporti, gli elementi più suscettibili di danni derivanti da un eventuale blocco della libertà di movimento di merci e passeggeri.
La quantificazione di questi danni è stata illustrata da una dettagliata relazione di Paolo Scarpellini, giovane funzionario della Port Authority che ha parlato per il Propeller Club. Con riferimenti a studi del Wall Street Journal, sono stati assommati, in caso di sospensione di Schengen, in 3 miliardi i maggior costi solo per il movimento delle merci (controlli e ritardi alle frontiere, tempi morti dei Tir), in 1,7 miliardi i costi per i pendolari e le imprese che ne dipendono, oltre che in svariati miliardi i costi per gli Stati per ripristinare controlli e barriere. Al 2025 – è stata ancora la valutazione del Wall Street Journal – l’Europa avrebbe 100 miliardi di euro di maggiori costi, una cifra insopportabile in regime di economia delicata com’è quella di oggi.
Del settore aeroportuale, ed in particolare di quello toscano, ne ha parlato Gina Giani, ad di Toscana Aeroporti SpA. Mentre nell’aeroporto pisano i voli interessati dall’area Schengen sono solo un 28% del totale a Firenze ci sono invece 6/7 voli al giorno con una incidenza percentuale maggiore e la prospettiva risulta quindi preoccupante. “Oggi con un eccesso di regolazione – ha detto Giani – si rischia di bloccare ed addirittura di invertire tutto il cammino fatto. Oltretutto questo controllo, molto alto nella security negli aeroporti, non è previsto negli altri sistemi di trasporto come per esempio in quello, in competizione con il nostro, dell’Alta Velocità. Occorre la consapevolezza che il controllo deve essere intensificato prima di arrivare all’aeroporto, che deve rappresentare solo l’ultima frontiera; e che non si possono riversare tutti i costi della sicurezza su una struttura privata come la nostra a rischio di minare la sua redditività”.
Da Umberto Masucci, vicepresidente della Federazione del Mare e presidente nazionale del Propeller, il richiamo all’attenzione sui possibili danni che verrebbero causati in particolare al settore marittimo; un comparto che dal lato economico apporta un grande valore e che eccelle nelle varie diramazioni: dalla catena delle crociere dove l’Italia è prima nel mondo anche a livello di cantieristica, al cabotaggio dei passeggeri italiani dove è al primo posto in Europa, nei ro-ro dove è eccellenza a livello mondiale, ed inoltre la sua vocazione all’export anche nella nautica da diporto.
Molto circostanziato tra gli altri l’intervento di Roberto Alberti – presidente Fedespedi, che si è soffermato in primis sull’imbarazzo nel parlare di numeri quando all’origine di tutto c’è, come in questo caso, l’emergenza umanitaria. I dati riportano che il 55% delle nostre esportazioni verso l’Europa avvengono via terra e che fra i paesi esportatori siamo all’ottavo posto a livello mondiale. Nello specifico: il traffico merci che dall’Italia va verso l’Europa passa da Ventimiglia con oltre 17,8 milioni di tonnellate, dal Frejus con 13 milioni, dal Sempione con 11 milioni, Gottardo 24 milioni, Brennero con quasi 41 milioni e Tarvisio con 22 milioni. Sebbene una parte di questi traffici avvenga per ferrovia la maggioranza attraversa questi valichi di frontiera via camion. Ci sono varie stime per quantificare i danni che verrebbero causati da un ritardo nel trasporto di questi traffici ma la più concreta, secondo Alberti, è quella del presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker che valuta un aggravio di costi per 1,7 miliardi a fronte di mezz’ora di ritardo al valico ed un raddoppio della cifra per la perdita di un’ora. Nel settore marittimo poi, alcuni trasporti come ad esempio quelli delle primizie dall’Egitto o dal Marocco, devono obbligatoriamente essere eseguiti in tempi molto ristretti e non ammettono neanche minime variazioni. Il ritorno ad un ante-Schengen aprirebbe uno scenario di ritorno anche ad una disciplina di controlli doganali: stime, anche se molto approssimative, prevedono in questo caso danni per circa 90 miliardi di euro annui. Ma ancora più grave sarebbe il cambiamento delle nostre abitudini di vita, difficilmente monetizzabile. “Grazie a Schengen – ha proseguito Alberti – abbiamo avuto un raddoppio della mobilità interna dei passeggeri all’interno di questa area ed oggi raggiungiamo i 218 milioni di viaggi annui in Europa”. Inoltre, il mondo intero ha scommesso sulla capacità europea di un sistema doganale integrato; se vi rinunciassimo una serie di problemi a cascata andrebbe ad incrinare i rapporti di fiducia tra l’Europa e le istituzioni commerciali internazionali di tutti i paesi. In questi anni infatti si stanno implementando dei sistemi fra continenti grazie ai quali la merce viene inserita in un circuito che consente già al momento della sua spedizione, se non prima, di conoscerne il valore, le caratteristiche tipiche e la tracciabilità e che è in grado di relazionarsi con altri sistemi che impattano sul controllo dei marchi, sul fitosanitario, veterinario. Il ritorno ad un ante-Schengen farebbe crollare tutto questo” ha concluso il presidente Fedespedi.
Luca Sisto per Confitarma ha sottolineato infine l’importanza dei traffici marittimi, che rappresentano il primo anello di tutta la catena logistica attraverso il trasporto via nave della maggioranza della merce che poi viaggia in Italia. Sisto non solo si è detto contro l’abolizione di Schengen, ma a favore di un allargamento dell’area a tutti gli altri paesi. I marittimi che lavorano sulle navi rappresentano tutte le nazionalità e la maggioranza di loro proviene da paesi extra Schengen. Lo scenario della sospensione del trattato, con l’aumento dei controlli ed i ritardi conseguenti, porterebbe una notevole sofferenza in tutti i settori marittimi (crociere, traghetti etc.) e le rotte verrebbero inevitabilmente orientate verso altri porti, esonerati da questi controlli. “La sicurezza nel settore marittimo si è intensificata dopo le Torri gemelle – ha detto Sisto – ma occorre attenzione; un elemento di riflessione per tutti dovrebbe essere dato dal fatto che l’autorità designata alla sicurezza nel mondo dei trasporti non è il ministero dell’interno, bensì il MIT: questo perché le procedure di sicurezza nel mondo dei trasporti devono essere ritagliate su misura proprio sul trasporto stesso”. Esplicita l’attenzione di questa settoriale platea alle ricadute economiche più che al tema sicurezza.

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Pubblicato il
6 Aprile 2016

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