Visita il sito web
Tempo per la lettura: 5 minuti

Portualità italiana e il suo futuro nello studio del Dipe per il Mit

L’evoluzione dei traffici in rapporto agli scali concorrenti, la perdita di competitività del “sistema”, il peso dei nuovi competitors anche in Nord Africa, e il trend di crescita dell’economia nazionale

ROMA – Il DIPE, in collaborazione con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha condotto uno studio sulla portualità italiana fino al 2014, che traccia l’evoluzione del traffico nei porti italiani in confronto ai principali concorrenti europei e mediterranei e le sue principali caratteristiche.
[hidepost]Lo studio individua aspetti problematici su cui intervenire, dalla necessaria concentrazione di risorse su obiettivi integrati con la rete europea di trasporto TEN, al problema dei fondali dei porti, degli spazi a terra, dei collegamenti con la rete ferroviaria e stradale, dell’organizzazione, della normativa e degli aspetti finanziari. Sintetizziamo dal documento – più di cento pagine – alcune considerazioni di fondo.

* * *

L’insieme dei porti italiani tratta un volume di traffico merci che lo colloca al terzo posto in Europa dopo la portualità olandese e britannica, ma il ritmo con il quale questo volume di traffico è cresciuto prima dell’inizio della crisi è inferiore a quello medio europeo e a quello dei nostri principali concorrenti nel Mediterraneo. Inoltre, tra il 2007 e il 2011, l’interscambio di container si è ridotto in Italia del 9,7%, con 1,1 milioni di TEU persi, mentre negli ultimi due-tre anni è stata recuperata circa la metà di quanto perso nel quadriennio precedente, tornando a 10,1 milioni di TEU nel 2013. I porti del Nord Europa invece hanno ripreso a crescere e sono riusciti a superare nel 2011 i livelli massimi raggiunti prima della crisi del 2008-2009, anche se negli ultimi due anni hanno conosciuto un ristagno nei traffici.
Complessivamente l’Italia ha perso terreno dal 2007 ad oggi, sia rispetto al nord Europa che rispetto al resto del Mediterraneo. Peraltro anche quest’ultimo ha perso centralità nel commercio internazionale visto che tra i 50 maggiori porti container internazionali nel 2012 il primo porto mediterraneo figurava solo al 34° posto mondiale (Algerciras in Spagna, con 4,1 milioni di TEU) e il primo porto italiano era Gioia Tauro al 47° posto con 2,7 milioni di TEU, rispetto ai 32,5 milioni di TEU movimentati da Shanghai (al primo posto mondiale) o ai 11,5 milioni di Rotterdam (11° posto mondiale e primo europeo). Queste cifre non devono sorprendere vista la polarizzazione del commercio verso la Cina (nel 2013 la Cina produceva il 30,3% delle merci esportate e il 49,2% dell’acciaio a livello mondiale).

* * *

La quota di mercato dei porti italiani sul transhipment mediterraneo è calata dal 2005 al 2011, dal 28% al 16%, a causa di: concorrenza esercitata da Tanger Med (Marocco), Porto Said (Egitto), Marsaxlokk (Malta) e dai porti spagnoli (Algeciras, Valencia e Barcellona in particolare), dove è possibile e conveniente consolidare volumi più ampi, da un lato apportati da navi oceaniche di sempre maggior capacità e, dall’altro, da destinare a navi feeder più piccole, ma anch’esse di dimensione crescente e orientabili con maggior flessibilità su più destinazioni finali mediterranee; minori costi operativi garantiti al transhipment nei porti africani concorrenti, caratterizzati da costo del lavoro più basso rispetto all’Italia, da maggiore velocità e da infrastrutture ampliate e modernizzate recentemente (Nord Africa e Spagna) che garantiscono servizi più veloci nella gestione a terra, anche grazie a tempi minori nelle pratiche doganali e burocratiche. Complessivamente per il transito di un container servono 19 giorni nei porti italiani secondo la Banca Mondiale (Doing Business), contro 7-9 giorni nel nord Europa e 11-12 giorni in Marocco e Egitto, cancellando di fatto il vantaggio potenziale attribuibile alla posizione geografica dell’Italia che consentirebbe di abbattere di alcuni giorni i tempi di navigazione; politiche aziendali del grande shipping che, ove non si concentri a Tanger Med o Porto Said, tende a crearsi basi di transhipment proprie e dedicate. Esemplare il caso della cinese Cosco Pacific che gestisce in concessione trentennale il Piraeus Container Terminal, diventato il centro della distribuzione dei container cinesi diretti all’Europa meridionale e orientale. Viceversa l’abbandono di Gioia Tauro da parte della Maersk o di Taranto da parte della Evergreen ha contribuito a ridurre fortemente l’attività in quei due scali; posizione geografica di Porto Said per il traffico da Suez, che consente di raggiungere tutti i mercati di destinazione successiva con le navi feeder (ovest Mediterraneo, est Mediterraneo e Mar Nero) senza dover ripercorrere parte della rotta. Lo stesso può dirsi per Tangeri e Algeciras con il traffico atlantico.

* * *

La concorrenza non arriva solo dai porti del Mediterraneo, i porti dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico si vedono sempre più sottrarre dai porti del Mar del Nord non solo mercati centro europei (Baviera, Austria, Svizzera e Europa centro-orientale), ma addirittura i ricchi mercati della pianura padana, a causa dell’incapacità a canalizzare verso i porti italiani dell’alto Adriatico e Tirreno gli scambi relativi a produzione e consumi che gravitano nel nord Italia.
La dispersione dei porti italiani si associa peraltro a basse dimensioni medie, con traffici merci che raggiungono nel 2012 i 26,3 milioni di tonnellate in media per i tre porti liguri, i 32 milioni per i tre porti del Nord Est, i 17,7 milioni per i 12 porti del Mezzogiorno e gli 11,2 milioni per i 5 porti del Centro Italia. I primi tre porti per merci (Genova, Trieste e Cagliari) rappresentano solo il 29,4% del mercato italiano, a fronte della maggiore concentrazione nei tre principali porti nel caso dei traffici container pari al 63,4% (Gioa Tauro, Genova e La Spezia).
La sola Rotterdam movimentava, nel 2013, 11,6 milioni di container, più dei 10,1 milioni movimentati dai 23 maggiori porti italiani.

* * *

Le previsioni di traffico merci nel lungo periodo devono tener conto che il trend di crescita di lungo periodo del PIL italiano è stimata in circa 1-1,31% all’anno dal FMI ad aprile 2015 e al 1,3-1,5% dal DEF di aprile 2015 e quello delle esportazioni del 3-4,1% all’anno dal FMI e del 3,6-4% dal DEF di aprile 2015. Proiettando i tassi di crescita del traffico container italiano realizzati nel 2000-2013, si otterrebbe una crescita pari al 3,3% annuo, (+2,5 milioni di TEU entro il 2020 e +7,5 milioni entro il 2030), mentre la persistenza del trend 2005-2013 garantirebbe una crescita molto modesta, inferiore all’1% annuo. La crescita del traffico merci e container dai porti italiani potrà essere maggiore di quello delle esportazioni, se si riuscirà a recuperare quote di traffico originate o dirette in Italia e gestite in altri porti mediterranei o del Northern Range e ad intercettare una quota maggiore di traffici da e per l’Europa centro-meridionale. Peraltro va segnalato il persistente dinamismo nei porti italiani dei passeggeri per crociere, che sono cresciuti a dispetto della crisi economica e rappresentano uno dei settori più fortemente in crescita. Da qui al 2030 l’Europa centro-orientale crescerà di più del resto dell’UE creando maggiori opportunità di movimentazioni di container verso quell’area ma le differenze che emergono dai dati di traffico individuano un campo di variazione così ampio da rendere incerto il risultato di ogni previsione di sviluppo infrastrutturale a lungo termine. Ragioni evidenti di sostenibilità ambientale (riduzione dei costi energetici e delle emissioni di gas serra) giustificano tuttavia l’obiettivo europeo di una maggior alimentazione da Sud dei mercati continentali, correggendo la situazione attuale che non consente di far coincidere convenienza privata e convenienza collettiva e che rischia di consolidarsi sulla base dei processi cumulativi in atto.

[/hidepost]

Pubblicato il
18 Novembre 2015

Potrebbe interessarti

Drill baby, drill

La guerra dei dazi annunciata da Trump sta innescando una inedita rivoluzione non solo commerciale, ma anche politica. E le rivoluzioni, come scriveva Mao nel suo libretto rosso, “non sono un ballo a corte”....

Leggi ancora

La quiete dopo la tempesta

Qualcuno se lo sta chiedendo: dopo la tempestosa tempesta scatenata a Livorno dall’utilizzo del Tdt per le auto di Grimaldi, da qualche tempo tutto tace: sul terminal sbarcano migliaia di auto, la joint-venture tra...

Leggi ancora