La mina vagante sulla rotta di Livorno
LIVORNO – Ho letto due giorni fa, mi sembra su Il Sole 24 Ore in un angolino di pagina interna, che nel lotto Tulfes Pfons della galleria di Base del Brennero c’è stata una breve cerimonia per l’avvio della “talpa” TBM che scaverà la galleria più lunga del mondo, in sostanza il nuovo traforo del Brennero (appalto alla Salini Impregilo, quella che ha attualmente dei problemi nel canale di Panama).
[hidepost]Tre anni di tempo e il Brennero non dovrebbe più rappresentare un collo di bottiglia per i traffici merci tra il Nord Italia e le grandi direttrici verso i porti del Nord Europa.
Letta così, a qualcuno potrebbe sembrare una delle solite notizie dei soliti grandi lavori che si perdono nel vago dei grandi progetti. Però c’è quel riferimento ai tre anni che dovrebbe far scattare qualche campanello d’allarme anche per i porti italiani del Tirreno e per i loro grandi progetti. Per esempio, per la piattaforma Europa di Livorno. Vediamo perché?
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L’apertura tra tre anni del Brennero ai grandi traffici cargo, arriverà di sicuro molto prima che possa essere messa in servizio la piattaforma Europa livornese, già da oggi realisticamente programmabile nella migliore delle ipotesi tra sei/otto anni. Premesso che ipotizzare un assetto logistico europeo tra più d’un lustro sta diventando materia per indovini più che per tecnici della trasportistica – le varianti variano di continuo, come ci sta facendo capire anche lo scandalo Volkswagen con le sue ricadute sui flussi d’auto nuove – sembra certa almeno una cosa: che lo shipping mondiale difficilmente chiederà ai porti d’Europa di avere fondali adatti a navi che non passano attraverso Suez. E che le navi che non passano Suez grazie ai trafori di prossima apertura sulle Alpi italiane avranno sempre più convenienza ad andare nei porti del Nord Europa anche per i containers destinati o provenienti dal centro-nord Italia. Già oggi il caso Gioia Tauro, con i suoi maxi-fondali non più determinanti, appare emblematico: le alternative, per il grande porto sogno di Ravano, esistono, ma si dice non nei fondali. Se poi è vero, come sostengono gli specialisti, che la corsa alle extra-big-full-containers si svilupperà in larghezza e non più in pescaggio (anche per l’ovvia resistenza di tanti grandi terminalisti a interventi enormemente costosi e sempre più invisi alle leggi ambientali) puntare ai maxi-fondali può diventare una visione sorpassata.
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Quali dovrebbero essere allora i punti di forza dei porti dell’alto Tirreno che vogliono davvero compiere il salto di qualità sui containers? Gli analisti concordano nel sostenere – lo ricordava qualche giorno fa Pierluigi Maneschi a margine di una nostra intervista – che tra i porti dell’alto Tirreno solo Livorno (tanto più se diventa un distretto logistico-portuale unico con Piombino) ha la possibilità di un retroterra già dotato di interporto ancora da saturare, non ha il limite di essere affogato in una città, sta già dotandosi di importanti raccordi ferroviari con la rete nazionale cargo ed ha una tradizione storica di porto tra le più importanti per le rotte transatlantiche con gli Usa (e gli Usa riprendono a tirare). Tutti punti di forza incontestabili, ma con un unico “caveat”: bisogna far presto, prestissimo, il più presto possibile. Vale per la piattaforma Europa, presumibilmente da scavare a 16 metri (con le fondamenta anche a 20 o 22 per non preludere a futuri interventi, ma lo deciderà chi vincerà la gara del project-financing) ma vale anche per tutta la pianificazione che deve accompagnare la piattaforma. Ecco perché il cincischiare sul tormentone assurdo dei fondali sta rischiando di diventare una mina vagante su cui potrebbe infrangersi l’ultimo sogno livornese di tornare un grande porto.
Antonio Fulvi
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