Se la crisi della Cina toccherà lo shipping
La chiusura dei mercati di Pechino alle merci europee e i riflessi sul Pil dei tre paesi più legati all’export verso est – Il summit di Jackson Hole e le previsioni
LONDRA – Lo shipping e la crisi delle borse cinesi: uno scenario che come spesso accade appare solo un riflesso sul piano della maxi-economia, ma che diventa determinante per quel comparto della logistica che si era sviluppato negli ultimi anni sul moto della crescita senza fine del potenziale produttivo e commerciale della Cina.
[hidepost]Nella City, ma anche nei centri decisionali delle principali compagnie di navigazione globalizzate, l’impressione è che non ci diano ancora tutti i fondamentali per poter varare strategie a lungo termine. Si considera soltanto che se la crisi della Cina dovesse continuare per più di qualche settimana, alcuni paesi del Range Europa ne subirebbero pesanti conseguenze. Non per niente al summit dei banchieri centrali apertosi due giorni fa a Jackson Hole si sottolineava come almeno tre paesi europei, Germania, Francia e Italia, devono metà del loro Pil all’export, e i loro principali clienti sono gli Usa e la Cina. Se la Cina rallenterà a lungo l’import di prodotti europei, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche sia per l’economia di alcuni comparti (auto, componentistica, chimica, macchinari) sia per lo stesso shipping.
Prevale, al momento, la prudenza. Anche perché non si è ancora capito bene se la svalutazione pilotata della moneta cinese si tirerà o no dietro interventi centralizzati anche nella struttura della logistica. I recenti disastri (incendi ed esplosioni) portuali in Cina hanno dimostrato che non tutto è stato fatto in chiave del modernismo più spinto. E c’è già chi ha ipotizzato che il governo cinese potrebbe prendere l’occasione per razionalizzare (e forse unificare) la struttura dei trasporti marittimi di bandiera, troppo liberistica secondo i modelli più rigorosi dell’economia politica di Pechino.
R.R.
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