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La riforma e le attese dal meeting Federagenti

Richiamato l’impegno alla competitività del sistema logistico – Gli impegni dell’Agenzia delle Dogane e le pesanti difficoltà del ministero in carenza di uomini

La sala al meeting Federagenti.

LERICI – “Aspettando la riforma”, così titolava l’invito dell’associazione nazionale degli agenti marittimi a partecipare all’assemblea annuale nella quale in effetti sono stati molti i contributi portati dai relatori al dibattito.
L’intera portualità nazionale e l’industria dello shipping – ha detto il presidente Michele Pappalardo, rieletto all’unanimità per il secondo mandato nella riunione pomeridiana dei soci – è immersa in una situazione di generale ed allarmante incertezza. Le cause vanno ricercate nei nostri endogeni ritardi nelle scelte normative ed operative ma anche nell’instabilità del quadro internazionale economico, in particolare quello marittimo. Incognite enormi come il gigantismo navale, un trend in crescita ma sempre più in discussione per i disagi che genera – ma non solo: concentrazioni di potere armatoriale, difficili equilibri economici da raggiungere in contesti mai quieti, situazioni geo-politiche sempre più complesse che obbligano a cambi repentini di prospettiva.
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Michele Pappalardo

Nello scenario generale tratteggiato dal presidente Federagenti vediamo così gli attuali segnali positivi registrati nei containers da alcuni porti italiani contrapposti a risultati negativi dei porti nord europei così come quelli di Hong Kong e Singapore ancora in sofferenza per le conseguenze della recessione mondiale. Dati contraddittori dunque, dovuti a pressioni forti ed inattese che non permettono di formulare previsioni attendibili. In questa situazione occorre nel frattempo attrezzarsi al meglio, cancellando le debolezze quali l’eccesso di burocrazia, aumentando efficienza e produttività e, di conseguenza, la competitività del sistema paese in attesa – ha detto Pappalardo – che diventi legge quel piano promettente che oggi finalmente abbiamo; un piano che parte da un’analisi, stabilisce obiettivi ed indica le vie per raggiungerli.
Sul problema “burocrazia” unito all’inefficienza ci ha pensato Gian Antonio Stella del Corriere della Sera, con il suo reportage di “chicche” italiane, a far capire come vanno le cose. I casi sconcertanti portati dal giornalista hanno chiarito tante situazioni fra le quali anche le ragioni principali della riduzione di traffici di Gioia Tauro, dove per scaricare un cargo da 14mila teu oggi servono 500 documenti cartacei, o la nostra arretratezza sul fronte rete web, che ci pone al 91mo posto nella classifica mondiale per velocità di download. Eppure, imperterrito ed in attesa di un cambio di rotta, il paese continua a produrre il “miracolo italiano” mantenendosi secondo in Europa e quinto nel mondo per importanza manifatturiera.

Nella foto: (da sinistra) Marco Simonetti, Nereo Marcucci e Pasqualino Monti.

Nonostante gli handicap citati, oltre a dragaggi, vincoli ambientali ed altro ancora, quei porti che sono riusciti a concludere con segni positivi, anche a doppia cifra – secondo Filippo Gallo presidente della commissione contenitori di Federagenti – hanno adoperato la formula vincente propria degli spezzini (che vantano un +13%) che corrisponde alla sintesi di tre elementi: visione, potere decisionale, realizzazione; una formula che dovrebbe essere presa a modello da tutta Italia.
Marco Simonetti, vice presidente Contship, ha riportato i dati percentuali delle statistiche dei controlli sui containers movimentati nei porti che vede il 2% di Gioia Tauro confrontarsi con quelle inferiori di altri porti europei come Valencia (1%), Algeciras (0,2%) e Pireo (0,01%); controlli doppi nel migliore dei casi ai quali oltretutto non corrispondono qualità ed efficienza; ha richiamato quindi l’attenzione sulla necessità di battaglie da fare – anche e soprattutto a livello europeo – per ottenere uniformità di regolamenti sottolineando che è questo il terreno dove perdiamo competitività. Un altro punto importante segnalato da Simonetti: la necessità di accoppiare alla semplificazione l’unificazione, testi chiari dunque, non interpretabili, per garantire al cliente quello che esige innanzi tutto: i tempi certi. All’intervento di Alessandro Laghezza, presidente degli spedizionieri spezzini, che sollecitava lo sblocco dello Sportello Unico Doganale insieme ad un’attenzione nei confronti dei modelli europei per migliorare i nostri standard di efficienza ha fatto eco Teresa Alvaro, Dirigente Tecnologie per l’innovazione dell’Agenzia delle Dogane, spiegando che la difficoltà che oggi riscontra lo Sportello Unico Doganale, che colloquia con 24 enti, è che questi non hanno ancora raggiunto una visione strategica unitaria di sviluppo. Alvaro ha chiarito poi che molte delle cose imputate alla Dogana non sono ad essa direttamente attribuibili ma spesso dipendono da rilevazioni sommarie che non corrispondono alla realtà. Al di là dei dati vi è la rivendicazione di risultati che ci pongono avanti in Europa grazie ad un sistema informatizzato che anticipa quelle regole comunitarie ancora da scrivere; stiamo così ponendo una base di riferimento italiana – ha detto la dirigente – che ci sarà utile per abbattere i gap che abbiamo per altri aspetti nei confronti dei concorrenti europei. Altro obiettivo richiamato da Teresa Alvaro – in risposta alle preoccupazioni degli spedizionieri – è l’avvio del corridoio doganale utilizzato da Ikea nel porto di La Spezia, a suo dire esempio eclatante di progresso che è inarrestabile. Un’opinione, quella sui fast corridors, condivisa a livello personale anche da Nereo Marcucci, che tuttavia, in qualità di presidente Confetra, avverte l’esigenza di ben monitorare per trovare soluzioni ad eventuali distorsioni di mercato si dovessero evidenziare. Bene per un ruolo primario della Dogana rispetto agli altri enti di controllo e, relativamente alla riforma, bene per la centralizzazione.
Di parere positivo sulla riforma anche Pasqualino Monti, presidente di Assoporti, ma con alcune riserve in materia di governance, sui rischi che porti più grandi depotenzino i minori e sullo strumento stesso del DPCM che dovrebbe sostituirsi alla legge. Ma di base “manca una cultura di mare” – ha detto il direttore generale del MIT Enrico Pujia – dai tempi del Ministero della Marina Mercantile ad oggi tutto è cambiato: non si assume dal 1993 e mancano figure qualificate; tutto ciò si è riflesso negativamente nel settore ed auspichiamo un ripensamento per poter crescere.
Cinzia Garofoli

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Pubblicato il
10 Giugno 2015

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