de Domenico (Napoli) così rimorchiatori e sicurezza nei porti

Gianni Andrea
de Domenico
NAPOLI – In una delle sessioni dedicate alla sicurezza nello shipping che si sono tenute nella settimana napoletana il presidente della Rimorchiatori Napoletani, ingegner Gianni Andrea de Domenico, ha presentato un importante studio volto alla riduzione degli infortuni realizzato dalla società di consulenza inglese Marico Marine (la principale consulente delle Autorità Portuali inglesi). Parliamo con lui delle ragioni che lo hanno spinto a commissionare questo studio, innovativo nel panorama italiano, e delle problematiche di tutto il settore di cui fa parte la società che rappresenta, impegnata da più di cento anni nei servizi di rimorchio, assistenza e salvataggio nel porto di Napoli e dagli anni ‘50 anche a Bari, Gaeta e Taranto.
Presidente, da dove scaturisce l’esigenza di commissionare uno studio per la sicurezza nei porti?
[hidepost]“Episodi tragici come quello della torre piloti di Genova ci hanno spinto a voler dare un contributo fattivo ad un problema annoso per cercare di evitare che possano ripetersi. Il nostro settore vive una fase complessa non solo dal lato economico ma anche di inquadramento normativo. La crisi economica dello shipping si è sentita in modo violento nell’attività dei traffici marittimi nel nostro porto ed ha colpito duramente la nostra categoria, in particolare nel settore containers dove nel primo semestre 2014 abbiamo un calo del 15% rispetto al già misero 2013. Le compagnie, per superare questi momenti, sono state costrette ad operare dei tagli ed hanno ridotto in modo sensibile il ricorso al nostro servizio; un taglio questo, a nostro avviso, che è andato ben oltre il limite del ragionevole, mettendoci molto spesso in grave difficoltà nelle manovre e talvolta rischiando incidenti. Questo trend operativo negativo ci ha allarmati e, dopo il dramma di Genova, abbiamo ritenuto di non poter andare avanti passivamente continuando a rischiare, oltre alla vita delle persone, anche la nostra reputazione. Nonostante la crisi che ci vede resistere solo grazie ai buoni rendimenti che otteniamo da una diversificazione operata anni fa all’estero nel settore supply vessel, non siamo mossi dal desiderio di maggiori guadagni ma dalla consapevolezza che tutto l’argomento “sicurezza manovre portuali” debba essere affrontato in modo pragmatico e corretto, con una attenta valutazione di cosa sia necessario fare per poter poi dimensionarci tutti adeguatamente e continuare a fornire così un valido servizio per la sicurezza delle navi e dei nostri porti”.
Perchè una società di consulenza inglese come la Marico Marine e quali sono i dati emersi?
“Il Regno Unito ha una grande tradizione in tema di sicurezza e, dopo alcuni incidenti avvenuti con navi in manovra nei suoi porti, ha deciso di porvi rimedio in modo efficace attraverso uno studio ed un conseguente intervento normativo di origine governativa. La loro esperienza ci è sembrata quindi idonea quale riferimento per affrontare la nostra situazione e trovare spunti per colmare la carenza di norme chiare che consentano tra l’altro di individuare ruoli e responsabilità.
“Dall’analisi condotta nel corso dell’attività di consulenza emerge in modo evidente che nel porto di Napoli il fattore sicurezza, segnatamente per il nostro servizio, è fortemente influenzato da considerazioni di carattere commerciale. Per non scontentare il cliente si è portati a volte a lasciare la singola nave libera di decidere, sotto la responsabilità e giudizio del comandante, il livello di sicurezza da adottare nelle manovre. Il porto di Napoli ha quindi assunto un profilo di sicurezza fortemente “variabile” caratterizzato dalla presenza delle più diverse situazioni: lo stesso tipo di nave per lo stesso tipo di manovra ed in condizioni analoghe può utilizzare uno o più rimorchiatori o addirittura nessuno; questo perché la valutazione se ricorrervi o meno viene fatta dal comando nave che si basa sull’esperienza personale e non su reali standard di sicurezza. Si tenga presente che, nel Porto di Napoli, il servizio di rimorchio non è obbligatorio, se non solo nei casi di navi che trasportano prodotti petroliferi pericolosi e con disposizioni molto sommarie; eppure oggi viaggiano più merci pericolose nei contenitori che nelle tanker. Noi rimorchiatori viviamo quindi una situazione paradossale: nonostante l’ovvio desiderio di non perdere le scarse occasioni di lavoro, l’utilizzo non adeguato del nostro servizio in alcune manovre, per numero di mezzi impiegati e per modalità di ingaggio ed utilizzo, ci farebbe a volte preferire non essere proprio chiamati a collaborare per paura di trovarci poi, in caso di incidenti, a svolgere il ruolo di capro espiatorio senza neanche essere stati preventivamente interpellati per la valutazione delle modalità di impiego del nostro servizio. Questo non lo riteniamo giusto ed è anche per questo che abbiamo deciso di muoverci”.
Cosa dovrebbe essere mutuato dalla pluridecennale esperienza inglese sulla sicurezza nei porti?
“Le Autorità portuali inglesi sono a carattere manageriale, sono responsabili su tutta l’area portuale loro assegnata anche in materia di sicurezza mentre le loro Capitanerie di Porto hanno essenzialmente compiti ispettivi e, sulla base delle indicazioni fornite dal loro Ministero dei Trasporti attraverso un Codice di Sicurezza per i Porti (Port Marine Safety Code), dettano regole precise alle quali deve adattarsi chi vuole utilizzare i loro scali, sia a terra che sulle acque. In Italia invece, in materia di sicurezza nelle manovre in ambito portuale, non si riescono più ad individuare ruoli e responsabilità causa una vacatio legis in un settore che, invece, non dovrebbe assolutamente prestarsi ad interpretazioni. Occorrono quindi anche da noi norme trasparenti e chiare. Le nostre Capitanerie di Porto si sono sempre occupate di sicurezza ma, loro malgrado e sebbene dispongano di alcune eccellenze, non sembrano sempre sufficientemente dimensionate e strutturate per essere veramente efficaci in un campo specifico come quello della valutazione dei rischi e della prevenzione degli incidenti in ambito portuale. E’ per questo motivo che, dopo aver presentato lo studio sul “Port Marine Safety Code” alla Naples Shipping Week intendo riproporlo in sede centrale (Comando Generale delle Capitanerie di Porto, Ministero ed Associazioni di categoria) con l’intento di stimolare un tavolo di discussione in cui tutti gli attori possano cogliere gli spunti che esso può offrirci. Attraverso valutazioni puramente tecniche che facciano riferimento a traffici, carichi, condizioni generali, rischi di originare alcuni tipi di danni, si potranno superare anche quei pericoli, oggi presenti, dati da decisioni più esperienziali che tecniche. Il rimorchiatore deve essere visto come un elemento di sicurezza, pronto ad intervenire quando le cose non funzionano e non come un’elica della nave; solo considerando questo aspetto si potrà garantire la sua efficacia in caso di necessità evitando che non si verifichino danni a persone e cose. Investire in sicurezza significa in primo luogo salvaguardare la salute delle persone ma anche la fiducia delle compagnie nei nostri confronti ed i loro traffici nei nostri scali”.
A livello europeo si sta discutendo sulla questione del monopolio. Qual’è la vostra posizione al riguardo?
“Sono convinto che in una situazione di regole chiare che consentano di organizzarsi adeguatamente, la nostra capacità di offerta sia la stessa di qualunque altro servizio di rimorchio degli altri porti europei. L’unicità dell’operatore, specialmente in porti a bassa intensità di traffico come quelli italiani, è utile per poter organizzare bene il servizio, basato su investimenti e costi molto elevati con l’obbligo per la società di avere personale altamente specializzato e formato. Se in un porto dimensionato per cinque rimorchiatori operativi si ipotizza che il servizio possa essere suddiviso in tre diverse gestioni provviste di due o tre rimorchiatori ciascuna, ognuna delle quali si occupi di una calata o di un settore di attività, potremmo facilmente immaginare cosa potrebbe succedere per esigenze di manovra che superino la disponibilità di mezzi di una singola azienda. O ci si blocca perdendo opportunità di traffico o ci si deve mettere d’accordo tra i vari operatori con buona pace della concorrenza. Il monopolio naturale consente invece una economia di scala a vantaggio di tutto il sistema portuale. Altro discorso è invece quello sull’assegnazione della concessione: su questo sono d’accordo che debba essere svolta nella massima trasparenza per garantire la migliore qualità al giusto costo. Certo in alcuni porti europei, pensiamo a Rotterdam, l’apertura del mercato è stata possibile ma la situazione era ed è completamente diversa: in un porto che da solo ha il traffico di quasi tutta l’Italia operano circa un decimo dei rimorchiatori che agiscono nei nostri porti. E’ facile quindi far due conti e capire come, anche con tariffe molto più economiche rispetto a quelle che è possibile praticare in Italia, sia possibile avere margini operativi di tutt’altra dimensione. Noi però siamo in Italia e non in Olanda. A questo si aggiunga che nel Porto di Rotterdam i rimorchiatori adibiti alle manovre portuali non hanno alcun compito di soccorso o intervento in caso di incidenti in quanto viene assolto da altri mezzi specificamente armati ed equipaggiati dalla locale Port Authority”.
Quali sono i vantaggi e gli eventuali problemi che intravede nell’attuale disegno della normativa europea?
“Riguardo appunto alla richiesta di trasparenza nelle procedure di gara sono d’accordo e ritengo che sia corretta la pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta delle Comunità Europee; a questo si deve ovviamente aggiungere ed accompagnare una reale parità di condizioni tra tutti i contendenti in termini di normativa da rispettare nei vari settori: fiscale, normativo, lavoristico, etc.
“Il vero problema è che, a quanto mi risulta, la normativa come è stata sinora immaginata dalla Commissione UE in genere non piace nemmeno in quei porti europei che sono per tradizione più aperti ai mercati; ed il suo insuccesso è stato sinora causato proprio dai nord-europei (inglesi, tedeschi e olandesi) che non gradiscono la perdita di indipendenza nelle trattative commerciali con i loro clienti e verifiche nei loro conti estremamente redditizi. Riguardo agli aspetti di sicurezza credo che si debbano tenere in debita considerazione le differenze di organizzazione esistenti tra i vari stati europei lasciando alle singole amministrazioni il compito di individuare le figure che devono gestirla e risponderne. Nel nostro paese credo che il ruolo possa essere ancora ricoperto dalle Capitanerie di Porto che, nell’ambito di una normativa adeguata ai tempi, con una corrispondente formazione e strutturazione, saranno qualificate e potranno continuare prestare un ottimo servizio”.
Cinzia Garofoli
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