Una “Cernobbio del mare” per la riforma della 84/94
Le amare considerazioni del presidente Merlo sul fallimento della legge Grillo – La stilettata contro il progetto della piattaforma offshore di Venezia – I punti salienti da affrontare
ROMA – Finita nel nulla per la crisi di governo la riforma della legge 84/94 sulla portualità, l’idea di Assoporti, espressa nei giorni scorsi dal suo presidente Luigi Merlo, è quella di ripartire pressoché da zero con il prossimo governo.
[hidepost]Con un’idea che potrebbe trovare l’appoggio anche delle principali associazioni di settore, da Confindustria a Confitarma, da Federagenti a Fedespedi: quella di istituzionalizzare una “Cernobbio del mare” per presentare al prossimo governo proposte concrete e condivise da tutto il mondo della portualità, dello shipping e della logistica nazionale.
“Dalla prossima legislatura – ha dichiarato intanto Luigi Merlo anche in recenti incontri nei vari porti italiani – mi aspetto una riforma ben più ampia, che affronti finalmente il tema della programmazione portuale, industriale e logistica che oggi manca totalmente al Paese”.
E Merlo non l’ha mandata a dire nemmeno sulla kasbah delle proposte a volte quasi ridicole, altre volte almeno velleitarie e scoordinate, con cui molti porti si sentono l’ombelico del mondo. “Ogni tre mesi – ha dichiarato a Il Secolo XIX di Genova – in Italia spunta il progetto di una nuova piattaforma portuale per gestire milioni di contenitori”: una chiara allusione al fantasmagorico progetto di Venezia della piattaforma offshore che il governo Monti ha peraltro iniziato a finanziare togliendo oltre 100 milioni al budget del Mose. Ce n’è anche per le Autorità portuali e per l’Assoporti della precedente gestione. Qualche autocritica la dovrebbero fare anche le Autorità portuali – ha detto ancora Merlo – che per anni si sono divise sul modello di riforma e si sono dilaniate in una lotta fratricida.
Di problemi urgenti sul tappeto ce ne sono a dozzine. Si può partire dalla mai decollata autonomia finanziaria delle Autorità portuali, per rilanciare le proposte di lasciare ai rispettivi porti una quota del ricavato delle imposte che generano (eliminando la ridicola soglia dei 70 milioni totali che questo governo aveva proposto). Si deve partire anche dalle normative sui dragaggi portuali, migliorate solo parzialmente per i correttivi apportati dal ministero dell’Ambiente. Si deve e si può partire dalla formalizzazione dei “sistemi” logistici, che riducano a un numero decente le Autorità portuali e specialmente accettino il criterio ormai mondiale dei porti che sono anelli di una catena logistica da considerare nel suo complesso: prima che la solita UE arrivi a imporcelo con la forza, creando i prevedibili sconquassi. Insomma, c’è da fare molto, anzi tutto. Sperando, a questo punto, in un ravvedimento operoso non solo del prossimo governo ma anche dello stesso frantumatissimo e troppe volte litigioso cluster nazionale dei trasporti.
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