Caso Ilva la farfalla e Assoporti
ROMA – Recitava l’antica saggezza orientale che un battito di ali di farfalla in Cina può provocare uno sconvolgente uragano nelle Filippine: ovvero, la teoria del Caos, portata ovviamente al paradosso.
[hidepost]Mi è venuto in mente, questa teoria dell’eccesso, a fronte della vicenda dell’Ilva di Taranto, che ha provocato immensi danni all’economia anche portuale di quella disgraziata città; ma che, assai peggio del risultato locale (che certo non è il battito delle ali d’una farfalla) sta mettendo a rischio non solo anche altri centri siderurgici italiani – si legga la disperata nota da Genova della MultiMarine Services dei giorni scorsi – ma anche oltre duemila imprese di autotrasporto la cui principale attività deriva proprio dai prodotti siderurgici.
Lo hanno fatto notare Fai Conftrasporto della Confcommercio e molti altri interventi – relegati in genere sulle cronache locali – anche in relazione al braccio di ferro che dopo il decreto salva-Ilva assunto dal governo si è innescato con la magistratura. Conftrasporto ha concluso come in genere concludono le associazioni di categoria: chiedendo che agli interventi di aiuto per i dipendenti dell’Ilva si aggiungano altrettanti aiuti a quelli dell’autotrasporto. Proposta ardua in tempi come questi nei quali non si sa ancora di che morte si vogliano far morire decine di migliaia di esodati senza altra colpa dell’aver creduto nelle leggi. Proposta ardua anche in relazione a certi indirizzi del governo che dopo aver bloccato il bonus ambientale per il trasferimento dei Tir sulle Autostrade del mare, sta seriamente studiando anche la cancellazione della stessa RAM, che pure tanto ha fatto sia in campo ambientale che trasportistico.
Forse il problema di fondo torna ad essere quello di sempre: che il nostro paese, e chi lo governa, continua a non avere una politica marittima né tantomeno trasportistica. E corre soltanto dietro alle crisi contingenti con pezze e rattoppi che qualche volta sono peggiorativi dello stesso male. Non ci piace sparare sulla Crocerossa, ma anche in questo caso avremmo sperato in un più forte impegno di Assoporti. Che sembra davvero un’Araba Fenice: sarà anche rinata dalle ceneri, ma che ci sia ciascun lo dice, cosa sia nessun lo sa.
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E sulle vicende delle acciaierie italiane interviene, con un “focus” sulla Lucchini di Piombino, anche il presidente della Provincia di Livorno Giorgio Kutufà.
“L’approvazione del decreto legge n. 207, nato per superare la paventata chiusura dell’Ilva di Taranto, apre a mio parere nuovi scenari interessanti anche per la Lucchini.
Si tratta di far valere quello che il decreto chiama “interesse strategico nazionale per aziende con oltre 200 lavoratori occupati, dove vi sia un’assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione”.
“Questo determina un’opportunità che va esaminata molto attentamente. Nessuno può negare che la Lucchini abbia questa caratteristica e che lo stabilimento di Piombino sia un asset indispensabile non solo per la Val di Cornia, la provincia di Livorno e la Regione, ma per l’intera nazione.
“Questo riconoscimento farebbe scattare tutta una serie di conseguenze da approfondire, che pongono, comunque, sotto una sorveglianza di natura governativa, l’attività aziendale, la cui continuità viene assicurata con la nomina del Garante.
Tutto ciò potrebbe consentire il superamento del braccio di ferro, che vede sindacati e istituzioni da una parte e consiglio di amministrazione dall’altra, circa l’opportunità della richiesta di amministrazione straordinaria. Questo intervento, se praticabile, potrebbe dar tempo di trovare un nuovo indispensabile assetto proprietario, coerente con la dichiarazione di interesse strategico nazionale, volto a garantire la continuità produttiva, nella sua interezza, allo stabilimento piombinese.
Una nuova opportunità, questa del decreto, che a mio parere va esaminata e percorsa”.
Antonio Fulvi
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