La logistica l’area vasta le cure
GUASTICCE – Per carità, parlarne fa sempre bene. Quando poi a parlarne non sono quelli del circolo delle bocce ma le istituzioni, fa meglio ancora. Così, niente – o quasi – da dire sul convegno organizzato dalla fondazione Matteoli – quella dell’ex ministro cecinese dei Trasporti, il quale evidentemente non intende ancora ritirarsi a vita privata – sul tema dell’interporto Vespucci che, collegato idealmente all’aeroporto Galilei e al porto livornese, è o dovrebbe essere “la porta della Toscana, la porta dell’Europa”. Siamo sulla costa della Toscana Felix, mica a Canicattì.
[hidepost]Dunque ne hanno parlato in tanti: con Federico Barbera neo presidente dello stesso Vespucci, Gina Giani amministratore delegato dell’aeroporto, Massimo Provinciali segretario generale dell’Autorità portuale, Roberto Nardi presidente della Camera di Commercio, e inoltre sindaci, qualche imprenditore, qualche politico. Interventi in genere ragionevoli e documentati, basati su un’analisi sia storica che economica da tempo nota a tutti: quella di un interporto nato in tempi sbagliati e su un’area sbagliata (solo di bonifiche è costato una tombola tanto da andare fuori mercato), sopravvissuto solo grazie a generose iniezioni di danaro pubblico, ancor oggi alla ricerca di cosa fare da grande.
Anche l’analisi sulle integrazioni – quelle sperate, quelle possibili, quelle che ancora non si sono viste – tra interporto, porto e aeroporto, non ha detto niente di nuovo. Si sono ripetute ricette già note, tutte con un unico punto debole: le risorse, che dal pubblico sono sempre meno e dal privato rischiano di fare la stessa fine perché in una crisi epocale come questa, gli investitori sono sulla difensiva e solo le cose che funzionano bene hanno speranza di attirare la finanza di mercato.
Funziona bene, o almeno funziona, l’integrazione delle tre realtà di “area vasta” in oggetto? Ecco, forse nel seminario di lunedì scorso è mancato fino in fondo il coraggio di ammettere che l’integrazione ancora non funziona. E non per colpa delle singole realtà in oggetto, quanto perché non c’è e non c’è mai stata una vera “mission” comune. Al di là delle parole e dei proclami, porto, aeroporto e interporto hanno lavorato ciascuno per se, a volte anche erigendo steccati protettivi. E quando le istituzioni del territorio hanno aperto la stura dei progetti, siamo finiti nei sogni proibiti tipo la navigabilità dello Scolmatore addirittura fino al Faldo: un sogno che alla luce dell’oggi suona addirittura patetico.
La morale? Parlarne fa sempre bene, per carità. Ma farebbe meglio andare sul concreto, riconoscere gli errori e le omissioni, e provare a ripartire dal reale. Altrimenti è meglio andarsene al mare, in questo fine luglio arroventato dal sole, dalla spending review e dall’impennata dello spread.
A.F.
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