Assoporti va alle ultime verifiche il patto tiene, con qualche dubbio
Le perplessità riguardano in particolare i dettagli sull’organigramma concordato tra Merlo e Monti – E non tutta la base sembra d’accordo su delegare a due presidenti ogni scelta
ROMA – L’accordo c’è: tra Luigi Merlo e Pasqualino Monti, il vertice della nuova, “rifondata” Assoporti sembra definito e i tre saggi nell’ultima consultazione di martedì scorso ne hanno preso atto.
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Solo che c’è anche un piccolo dettaglio: quello di alcuni “mal di pancia”, specie nello schieramento definibile di sinistra, dove a qualche presidente è andato giù male che una lunga, a momenti furibonda, battaglia per misurarsi e misurare le proprie forze nell’associazione, sia stata risolta con un accordo verticistico cui tutti gli altri porti saranno chiamati solo a “ratificare un patto a due”.
E’ un’analisi di parte, d’accordo: ma che la dice lunga sul fatto che l’azione dei tre saggi di Assoporti non sembra al momento conclusa. Nella migliore delle ipotesi Merlo e Monti dovranno spiegare prima dell’assemblea in che consiste il patto “via Ansa”: una nuova versione dei “patti della crostata” di lettiana memoria? O ci sono dettagli più specifici, oltre la comune volontà di non spaccare Assoporti e rilanciarla in un rapporto finalmente fattivo con il governo? Scontato che lo statuto di Assoporti non consente una “diarchia”, cioè due presidenti a pari dignità, come si articola sul piano concreto la formula di governo dell’associazione concordata tra Merlo e Monti? Un presidente e un vicepresidente vicario, magari con inversione dei ruoli dopo un anno o più di mandato? E in questo caso, chi comincia e chi segue?
Di segnali contraddittori, malgrado la saggezza espressa dai tre saggi, ne continuano ad arrivare. Per esempio: il “patto via Ansa” sembra essere stato accolto meglio dalla componente che ormai fa capo a Monti che non nello schieramento nerliano che fa capo a Merlo. Il primo gruppo – che oggi risulterebbe maggioritario alla conta degli ipotetici voti – sembra essere pago di aver dimostrato che la loro fronda nei confronti di Francesco Nerli non era un capriccio o una vendetta politica, ma aveva radicate ragioni tanto da aver raccolto una maggioranza di adesioni. Il secondo gruppo sconta qualche “mal di pancia” proprio perché l’operazione si è conclusa con un patto di vertice che ha tagliato fuori tutti gli altri dai processi decisionali. Peggio: ci sono state reazioni scomposte (si veda il feroce commento su “Il Secolo XIX” d’inizio settimana, quando è stato messo in croce il saggio ligure solo perché non si è schierato apertis verbis per il candidato genovese) e reazioni più moderate sebbene egualmente perplesse (si dice degli spezzini, che hanno ipotizzato anche ingerenze partitiche). Il che lascia aperta ancora la strada a qualche dubbio sulla concreta fine della guerra interna all’associazione dei porti.
Senza contare che nella “spending review” sulla quale il governo da tempo s’interroga (o si balocca) torna ogni tanto a galla la proposta di ridurre le Autorità portuali concentrandole in “sistemi” più o meno regionali. Che succederebbe in questo caso a un Assoporti che oggi comprende Autorità portuali che verrebbero cancellate, o comunque inglobate? Qualcuno se lo sta chiedendo. Ed è un fattore che potrebbe contare anche sulle scelte per il nuovo vertice.
A.F.
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