Dove va l’ortofrutticolo per mare
Il passaggio dalle navi “reefer” ai containers e il valore aggiunto delle lavorazioni allo sbarco
GENOVA – A Genova ne hanno fatto oggetto di uno studio approfondito a livello internazionale: ovvero, il cambio “storico” dei vettori di trasporto dei prodotti agroalimentari dalle tradizionali e ormai semi-superate navi reefer ai containers refrigerati. Con tanto di cartina (apparsa su “Il Secolo XIX”) dei principali porti specializzati nello sbarco. Con la recente perdita delle banane della Dole a Livorno a favore di Civitavecchia – ma non è detto che non possano parzialmente essere convertite in traffico containers: ci sono ormai centinaia di prese elettriche dedicate, in particolare sia al Reefer della Cilp sia sul terminal Lorenzini – la caduta di quest’ultimo porto sembra favorire i tradizionali concorrenti sul Tirreno; che peraltro non se la passerebbero benissimo, visto che tutti i terminal reefer sono in questo momento sotto attacco.
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Il principale polo nazionale, quello di Vado Ligure, conta di mantenere – fonte lo stesso quotidiano di Genova – anche per il 2012 la sua quota di 400 mila tonnellate, ma è solo la difesa dei vecchi quantitativi. Di Civitavecchia abbiamo già detto, forte del traffico preso a Livorno e di nuove iniziative del “Fruit Terminal” del dinamico amministratore delegato Sergio Serpente. Cagliari sta spingendo forte invece sui containers refrigerati per un traffico, per il momento solo isolano di circa 10 mila tonnellate all’anno.
L’indicatore più significativo è comunque quello del nord Europa dove i principali porti dell’ortofrutta – Anversa e Rotterdam, ma anche Le Havre e in minor peso Amburgo – hanno da anni ridimensionato i terminal destinati alle navi “reefer” potenziando invece il parco dei containers refrigerati. Perché rispetto alle navi specializzate – la cui costruzione si sta riducendo prossima allo zero nei cantieri mondiali – il container “reefer” è molto più flessibile, non richiede rotture di carico e può arrivare direttamente a destinazione in tempi certi e assai più brevi.
Sono dunque destinati a far la fame i vari impianti “Reefer” italiani ed europei, soppiantati dai parchi di prese elettriche per i containers reefer? Secondo una scuola di pensiero molto attuale, se sono nati come puro magazzino di sbarco e di ridistribuzione non avranno un futuro facile. Diverso invece il destino di quelli che possono integrare il tradizionale sbarco con una serie più o meno articolata di lavorazioni del prodotto: inscatolamento, trattamenti e trasformazione, eccetera. Insomma un “valore aggiunto” che vada oltre la storica rottura di carico. E molti stanno già puntando in questa direzione.
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