E Yang Ming diventa a rischio
LIVORNO – Nessuno lo ha detto ufficialmente, ma sono i fatti a parlare: la grande compagnia cinese ha annunciato che entro un anno, al massimo entro l’inizio del 2013, sostituirà sul servizio che tocca anche Livorno le sue attuali unità da 6 mila Teu (nella foto: la “Mandate” in ingresso a Livorno) con le nuovissime super-Panamax da 8 mila Teu. Il che vuol dire, se non cambieranno radicalmente alcune limitazioni sul porto labronico, che le nuove unità dovranno saltarlo: e probabilmente copiare la scelta di Zim che se n’è andata a Genova.
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Le unità da 8 mila Teu sono lunghe 335 metri e larghe 42: grazie alla maggior larghezza hanno un pescaggio praticamente uguale alle attuali 6 mila, che peraltro già sono costrette a limitare il proprio carico per entrare in Darsena Toscana. Il problema maggiore per Livorno sarebbe la lunghezza: con 335 metri fuori tutto sarebbe assolutamente problematica l’evoluzione in ingresso nel bacino della Darsena Toscana subito dopo la strettoia del Marzocco, considerando che va calcolata anche la lunghezza dei rimorchiatori a prua e a poppa e il relativo cavo; ma sarebbe ancora più problematica l’evoluzione in uscita alla bocca sud dell’avamporto, dove sia per l’effetto evolutivo dell’elica sia per gli eventuali venti di traversia già oggi le navi da 300 metri rischiano ogni volta di finire in secca fuori dal troppo stretto canale dragato. E anche il programmato dragaggio di 100 mila metri cubi alla bocca sud servirà a poco, perché gli esperti hanno più volte segnalato che servirà toglierne almeno 400 mila, oltre a spostare – progetto ideale ma con questi lumi di luna economici piuttosto ipotetico – il terminale sud della diga curvilinea guadagnando almeno una cinquantina di metri di larghezza della “bocca” del porto.
L’eventuale fuga della Yang Ming da Livorno – che vi opera con una media annua di circa 90 mila Teu – rappresenterebbe una ulteriore sconfitta dello scalo e delle sue velleità di rimanere tra i fondamentali del Mediterraneo. Anche a fronte del crescente ricorso delle compagnie ai nuovi giganti del mare, facilitati dagli allargamenti e potenziamenti del canale di Suez (e di quello di Panama) ma anche dalle indubbie economie di scala che contano sempre di più.
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