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Grandissime navi, annunci a catena ma i porti italiani rischiano grosso

Ormai sono in vista unità da 18 mila teu ed oltre, assolutamente vietate per molti scali – E il sistema logistico a sua volta non si adegua al prossimo step

GENOVA – Non è certo una novità, ma ormai tutte le fonti internazionali che si occupano di shipping fanno la conta sulle grandi unità portacontenitori che dall’anno prossimo in crescendo rossiniano entreranno in servizio per le primarie compagnie. Sia Maersk, attuale detentrice del record con unità da 15 mila teu, sia in particolare Msc che l’incalza, sia infine le ultime costruzioni per le compagnie cinesi e coreane, puntano alle 18 mila Teu e si parla di gigantesche piattaforme ancora superiori.

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Né sono proiezioni da vedersi tra decenni perché ormai si parla di due, tre o quattro anni al massimo: complici anche i potenziamenti e allargamenti del canale di Suez e in attesa che Panama a sua volta potenzi la sua via d’acqua e le relative chiuse, le navi giganti sono una realtà.

In questo quadro spaventa la relativa passività pubblica in Italia, dove i porti sono rimasti più che altro spartizioni partitiche e stentano ad adeguarsi come fondali, come bacini di manovra, come qualità ed attrezzatura delle banchine, ma anche e specialmente come raccordi ferroviari con le grandi reti internazionali del cargo. La vicenda del terzo valico di Genova emblematica nei suoi contrasti, nei ritardi e anche nelle contraddizioni tra pubblico e privato, tra le stesse istituzioni e tra i mille distinguo della politica. Ma non è certo l’unico esempio, visto che si contano sulle dita di una mano le iniziative dei grandi investitori per allargare o potenziare scali storici, con previsioni (se va bene) di tempi biblici: mentre in Nord Africa – solo per citare Tangeri II – in due anni vengono realizzati porti che fanno già sentire tutto il peso della loro modernità.

Sembra dunque giusto, in questa che ormai si preannuncia come la più tribolata e meno riposante pausa agostiana degli ultimi anni – interrogarsi su che cosa vorrà fare “da grande” il sistema portuale italiano. I progetti non mancano, alcuni relativamente realistici e altri basati più che altro sui sogni (si veda la Piattaforma Europa livornese): ma il problema vero rimangono le leggi inadeguate a far presto e far bene, i tempi biblici per correggere quelle microscopicamente meno attuali (dragaggi in primis), la persistente negazione di un’autonomia finanziaria dei porti che sarebbe l’unico modo per dare nuovo impulso alla loro modernizzazione. Poi certo, ci sono altri problemi, come l’assurda proliferazione delle Autorità Portuali, i bla-bla-bla che impediscono di riformare in chiave operativa la vecchia legge 84/94. E c’è il ruolo (o il no-ruol, se preferite) che Trenitalia continua a giocare sulla strategia del cargo, pronta però a impedire che i concorrenti europei vengano a riempire i suoi vuoti.

Potremmo continuare a lungo: ma alla vigilia di Ferragosto, conviene fermarci un attimo e riflettere su quelli che dovranno essere i tempi della ripresa dell’attività politica. Ammesso che da questa politica si possa ottenere qualcosa. Viene in mente il vecchio aforisma di Mark Twain, il grande scrittore americano che quando voleva sapeva essere più che caustico: “Quando il governo si appresta a prendere decisioni, io nascondo sempre il portafogli”. Che abbia ragione lui, e sia meglio che a Roma non decidano mai niente?

A.F.

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Pubblicato il
6 Agosto 2011
Ultima modifica
9 Agosto 2011 - ora: 17:03

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