Visita il sito web
Tempo per la lettura: 3 minuti

Pirateria, ora l’Italia imbarca i suoi “marines”

Potranno anche essere utilizzate speciali “guardie giurate” con specifico addestramento – Un incontro delle forze politiche a Montecitorio per definire tempi e modi

ROMA – Due grandi navi con la nostra bandiera sono in mano ai pirati somali, e l’Italia, che per mesi non ha fatto niente, adesso volta pagina e autorizzerà gli armatori a imbarcare scorte armate. Basta infine – è stato deciso in un incontro preliminare di due giorni fa a Montecitorio – spendere pressoché inutilmente i soldi per mantenere in area navi da guerra che nella maggior parte dei casi sono impotenti.

A risolvere il problema è stato l’atteggiamento da mesi estremamente critico, che Confitarma e molti altri ambienti dello shipping aveva espresso dopo che alla petroliera “Savina Caylyn” – sequestrata dai somali l’8 febbraio scorso – si è aggiunta anche la grande rinfusiera “Rosalia D’Amato”.

[hidepost]

Complessivamente sono 11 i marittimi italiani e 32 quelli stranieri ma in forza ai due equipaggi, in mano ai pirati. E in Parlamento ci sono ben cinque disegni di legge che da un anno aspettano il via, sul possibile imbarco di specialisti del battaglione San Marco sulle navi con le rotte più a rischio.

Lo scontro, a quello che è dato sapere, si era radicalizzato: lo Stato Maggiore della Marina Militare sarebbe pronto da tempo a dare il via ai “marines” del San Marco – che hanno uno specifico addestramento – per imbarcarli sulle navi interessate, come ha chiesto espressamente il presidente di Confitarma Paolo d’Amico. Ma è stata la politica a frenare: e il ministro della Difesa La Russa non aveva a ieri sbloccato nemmeno l’autorizzazione – chiesta da alcuni armatori – di imbarcare almeno dei “contractors” privati, specie di guardie giurate anch’esse con specifico addestramento anti-pirati, come peraltro stanno facendo già molti altri paesi. L’impressione era che il governo italiano si fosse concentrato solo sulle problematiche belliche della Libia e stesse sottovalutando i danni economici e d’immagine che la pirateria crea alla nostra bandiera.

Due giorni fa la svolta: in un incontro a Montecitorio, presenti esponenti di governo, maggioranza e opposizioni oltre che di Marina Militare ed Esercito, è arrivato l’ok del ministro La Russa per l’imbarco di personale armato sulle navi italiane che transiteranno nell’area pericolosa. Occorrerà un apposito decreto, ma che è stato promesso in tempi rapidi. Si parla di “marines” italiani appositamente addestrati ma anche di “contractors”, equiparati a guardie giurate. La speranza è che finalmente i tempi di approvazione siano rapidi.

Secondo l’International Maritime Bureau, la pirateria dei somali sta crescendo a ritmo esponenziale. Da gennaio ad oggi gli attacchi certificati sono stati 156, i marittimi presi in ostaggio oltre 500, con riscatti che hanno raggiunto ormai una media di 5 milioni di dollari a nave. Di conseguenza le polizze assicurative per le unità che transitano nel golfo di Aden e lungo le coste del Corno d’Africa sono aumentate di recente fino al 300%. Gli ingenti flussi di danaro ottenuti dai riscatti hanno ormai consentito ai pirati di armare vere e proprie navi-madre, con le quali operano in altura con un raggio d’azione che raggiunge le isole Seychelles e le coste occidentali dell’India. Contro queste navi anche le marine militari che hanno inviato in zona molte unità da guerra possono assai poco perché i pirati hanno adottato la tattica di tenere a bordo gruppetti di ostaggi (marittimi sequestrati) minacciando di ucciderli. Alcuni blitz contro i pirati sono riusciti (dai francesi e dagli olandesi, calandosi di sorpresa dagli elicotteri) ma altri si sono risolti con la morte degli ostaggi. E un po’ tutti all’Onu sono convinti che l’unico modo di debellare davvero la pirateria marittima non sia cercare un ago nel pagliaio, cioè una nave pirata nell’immensità del mare, ma stroncarne le radici a terra, impedendo che i pirati possano avere basi dove ricevere i riscatti e appoggiarsi per rifornimenti e altro. Ma significa un’altra guerra, truppe terrestri, complicazioni internazionali, altro sangue. E nessuno vuol essere il primo a muoversi, mentre i pirati allegramente allargano il tiro. E il giro d’affari.

A.F.

[/hidepost]

Pubblicato il
7 Maggio 2011

Potrebbe interessarti

Drill baby, drill

La guerra dei dazi annunciata da Trump sta innescando una inedita rivoluzione non solo commerciale, ma anche politica. E le rivoluzioni, come scriveva Mao nel suo libretto rosso, “non sono un ballo a corte”....

Leggi ancora

La quiete dopo la tempesta

Qualcuno se lo sta chiedendo: dopo la tempestosa tempesta scatenata a Livorno dall’utilizzo del Tdt per le auto di Grimaldi, da qualche tempo tutto tace: sul terminal sbarcano migliaia di auto, la joint-venture tra...

Leggi ancora