La piaga della pirateria somala non trova soluzione per l’Italia
Lo Stato maggiore della marina pronto a fornire specialisti sulle navi nazionali ma il governo frena – Molti paesi stanno ricorrendo con successo ai “contractors”LONDRA – La “strana guerra” in Libia sembra aver distratto l’opinione pubblica mondiale da un dramma che lo shipping sta ormai vivendo quotidianamente nelle acque del corno d’Africa, con oneri sempre più pesanti per gli armatori – l’ultimo riscatto pagato da un armatore greco supererebbe i 13 milioni di dollari – ma anche per le nazioni che hanno impegnate decine di navi da guerra – oltre 40 comprese quelle della missione europea Atalanta con unità italiane – sul teatro marittimo.
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Un impegno, quello delle navi da guerra, che non sembra dare apprezzabili risultati, visto che secondo l’International Maritime Bureau (Imb) di Londra gli attacchi registrati nel primo trimestre del 2011 hanno raggiunto un record assoluto: da gennaio a fine marzo sono stati 142, il 35% in più rispetto allo stesso periodo del 2010 che già era stato nettamente superiore al passato. Per di più – registra ancora l’Imb – ben 97 di questi 142 attacchi si sono verificati molto al largo delle coste, confermando una strategia dei pirati assai più sofisticata, con l’appoggio di vere e proprie navi-madre oceaniche.
Strategia che si vede anche nella scelta dei bersagli, visto che i pirati – informatissimi da servizi dotati delle più moderne tecnologie satellitari – attaccano ormai di preferenza le grandi petroliere, che sono più lente, meno manovriere e più “delicate” anche dal punto di vista degli eventuali colpi d’arma da fuoco per convincere gli equipaggi a fermarsi.
L’aumento degli attacchi – dicono gli esperti – è dovuto alla maggiore organizzazione, al fiume di danaro che l’attività ormai rende, e anche al fatto che il monsone di questa stagione è stato più blando, consentendo anche alle piccole unità veloci dei pirati di sciamare senza problemi dalle navi-madri. Queste ultime possono ormai stazionare anche a oltre 1000 chilometri dalle coste, visto che si tratta spesso di grandi unità sequestrate, a bordo delle quali stazionano decine di pirati con i loro barchini pronti ad essere ammainati; e il fatto che vi vengano mantenuti gli equipaggi sequestrati impedisce azioni di forza per liberarli.
La recrudescenza degli attacchi sta innescando anche alcune polemiche tra i paesi marittimi che transitano con le proprie navi nella zona infestata. La stessa Confitarma ha chiesto recentemente al governo italiano di predisporre l’imbarco di truppe specializzate – i “marines” del San Marco, i Lagunari o i “parà” della Folgore – sulle proprie navi. Lo Stato Maggiore della Marina Italiana si è detto disponibile, ma al momento è il governo a frenare sull’iniziativa. Che invece è stata adottata già da tempo sulle navi israeliane (che infatti registrano il record di attacchi zero) e su quelle francesi, mentre Usa e Spagna hanno autorizzato l’imbarco di “contractors” armati, con il risultato che i pochi attacchi subiti dalle loro navi sono stati velocemente respinti.
La risposta del governo italiano è che le navi con il tricolore che transitano nell’area sono ogni anno da 6 a 8 mila, e non basterebbe metà dell’esercito. Però non si autorizza nemmeno l’imbarco di “contractors” privati, peraltro disponibili nel giro di poche ore. E intanto crescono i rischi, i premi assicurativi, e lo stress per armatori ed equipaggi.
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