Diagnosi ok ma dove sono le terapie?
ROMA – Non c’è dubbio che il quadro tracciato qui a fianco da Unioncamere sullo stato dell’arte – ma meglio sarebbe dire lo stato del disastro – delle infrastrutture italiane rappresenti una diagnosi seria e anche approfondita della realtà. Ferrovie, autostrade, colli di bottiglia portuali, intermodalità a livelli primordiali sono fattori che ciclicamente vengono denunciati, e sui quali lo stesso governo non ha altra difesa che rimandare all’atteso, conclamato ma ancora non partorito piano della logistica.
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Il quale piano, visto che per i miracoli ancora non c’è governo (non solo italiano) che sia attrezzato, difficilmente potrà rimettere l’Italia a livello dei “competitors”, che non hanno certo bloccato tutto da anni ma anzi hanno spinto l’acceleratore proprio sulle infrastrutture.
Il problema però è sempre il solito: quello della coperta troppo corta, dell’enorme debito pregresso che strangola l’Italia con i suoi interessi, e della politica sparagina (qualcuno la definisce: piemontese alla vecchia maniera) di Tremonti che cerca disperatamente di contenere il debito pubblico a costo di congelare l’Italia anche sui bisogni primari di mobilità, di trasporto, di strutture.
Non siamo certo noi, da questo modesto pulpito, coloro che possono dare indicazioni ai timonieri. Fatto è che nemmeno dai più blasonati “maitres à penser” dell’economia nazionale arrivano ricette convincenti – e applicabili realisticamente – sulla cura da adottare. In sostanza: le diagnosi si sprecano, le analisi sono spesso condivisibili al cento per cento, gli studi come quello presentato da Unioncamere sono basati su fatti e non certo su opinioni. Ma di terapie concrete, nessuno veramente ne offre. Il che può far pensare che non ne esistano, e che il malato sia praticamente terminale.
Per fortuna c’è l’economia reale, basata su milioni di piccole e medie aziende – ma anche di grandi imprenditori in terra e in mare – che sembra dimostrare come sia possibile l’impossibile, cioè mantenere a galla il paese. E’ un po’ come il sofisma sul calabrone, che secondo le leggi fisiche non potrebbe volare perché ha le ali troppo piccole rispetto al peso corporeo: solo che il calabrone – dice la celebre battuta – non conosce la fisica e quindi vola. Così per noi. Ma visto che non siamo calabroni, alla fine il Paese si vedrà presentare il conto dei ritardi e delle inadeguatezze infrastrutturali. E forse qualcuno dovrà spiegare a Tremonti che non basta tenere i conti in ordine con l’Europa se andremo scivolandone fuori, con strutture e servizi da terzo mondo.
Antonio Fulvi
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