Livorno-Bologna l’interrogativo: e la ferrovia?
LIVORNO – C’era una volta un signor Eckelmann, ma è storia livornese “quasi” antica. Lo consultavano sulla logistica dei trasporti, e aveva idee tanto semplici e “pulite” da apparire sospette ai soloni che invece inanellavano analisi più complesse del calcolo di un’orbita extragalattica.
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Mi ricordo – come qualcuno dei miei dieci lettori forse sa, ho i miei anni – che l’idea portante per gli scali italiani era di adeguare porti storicamente medi – a parte Gioia Tauro, i nostri sono tutti dai tempi delle repubbliche marinare – alla capacità nazionale di investimenti ridotti, puntando su introiti che rendessero questi investimenti almeno accettabili, non certo da arricchircisi sopra.
La formula di Eckelmann l’ho ritrovata tempo fa in una dichiarazione di Nereo Marcucci, amministratore delegato di Contship ma in questo contesto presidente di Assologistica. Che come gli è facile da quando frequenta i tedeschi ed ha imparato la concisione, l’ha concentrata magistralmente: medi porti con medi investimenti e medi profitti. Ovvero: la ricetta della portualità italiana, salvo rarissimi casi.
Pare anche la ricetta adatta per il porto di Livorno. Malgrado le istituzioni continuino a baloccarsi con il mega-progetto della Darsena Europa, qualcuno più razionale va chiedendosi chi caccerà mai i mille miliardi necessari (costi calcolati ad oggi). E a chiedersi se non sarebbe più logico, in attesa di poter almeno banchinare l’attuale vasca di colmata (protetta da un mozzicone in più di diga foranea), dragare davvero e velocemente tutto il canale di accesso alla Darsena Toscana, la bocca sud allargata comm’il faut (e come hanno più volte richiesto i piloti, la Zim, il portavoce della stessa Angelo Roma) e specialmente dragare la Darsena Toscana ai livelli di progetto, circa 12 metri, mantenendone i fondali con il tombamento della “bocca” sullo scolmatore dell’Arno. E lo scolmatore? Porcaccia miseria, non sarebbe più facile e meno costoso ripulire la bocca a mare, facendolo uscire come da decenni si dice in mare aperto e non dentro il porto, sia pure dovendo anche alzare il ponte stradale?
Basterebbe per dare a Livorno la dignità di un porto medio, con medi investimenti e medi profitti? Purtroppo no: bisognerebbe aggiungerci anche un sistema ferroviario adatto, che deve necessariamente passare per un ammodernamento del Calambrone e una “bretella” di alta capacità o in direzione di Firenze (idee dell’ex assessore regionale Conti) o verso La Spezia-Parma (idee di chi sostiene la Pontremolese ammodernata). Ma il Calambrone è il vero snodo, la soluzione sine qua non. E invece tutti i progetti di Trenitalia Cargo evitano accuratamente di parlare del Calambrone; che anzi è moribondo, in attesa dell’estrema unzione. E in questo modo non si va da nessuna parte, perché è ormai dottrina condivisa che i treni cargo devono avere almeno 700 metri di lunghezza e ridurre al minimo le manovre di partenza e di arrivo. Esattamente il contrario di quello che oggi il Calambrone moribondo consente. Un bel rebus: contro il quale può davvero poco anche la buona volontà del commissario dell’Authority labronica Giuliano Gallanti quando cerca una relazione ferroviaria con l’interporto di Bologna. Perché le merci non volano: e con i collegamenti ferroviari di oggi non basta certo un protocollo a renderli economicamente convenienti.
Antonio Fulvi
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