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Livorno: quel rischio di deriva

Da Vladimiro Mannocci, segretario generale dell’ANCIP e dirigente della Cilp labronica riceviamo.

LIVORNO – La portualità italiana è entrata ormai in un ciclo negativo che potrebbe durare anni, forse decenni, proprio com’è accaduto dalla fine degli anni ‘60 alla metà degli anni 90. La crisi ha accelerato e accentuato le crepe che da tempo erano presenti nel sistema economico occidentale.

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Invece di interrogarsi sul fatto se la crisi sia stata o non superata dovremmo cercare di capire quali cambiamenti sono avvenuti nelle strutture economiche e nei flussi commerciali mondiali. Questa necessità è ancora più stringente in Toscana e a Livorno, dove sono aperti momenti di discussione programmatica per definire atti di governo del territorio che segneranno il nostro futuro, a partire dal Piano Regionale di Sviluppo, al nuovo Piano Strutturale del Comune di Livorno ed il nuovo Piano Regolatore del Porto.

La Cina, l’India, il Brasile, sono ormai protagonisti della scena economica mondiale; nel periodo della crisi hanno mantenuto alti tassi di crescita, agevolando la crescita della loro domanda interna, alleggerendo il carico fiscale e mantenendo un programma d’investimenti per rafforzare le loro infrastrutture. Nell’area mediterranea, sono stati cancellati in poche settimane gli assetti politici ed istituzionali dell’intero Magreb. Un’area geopolitica che in questi anni ha vissuto importanti livelli di crescita, divenendo un potenziale mercato di riferimento per i paesi europei, ed in particolare per quelli intramediterranei come il nostro Paese. Rimangono ancora molte incognite sullo sbocco a cui approderanno queste rivoluzioni, anche se vi sono tutti gli elementi per sperare che le istanze alla base di questi repentini cambiamenti portino ad una apertura di processi democratici e ad un loro sviluppo economico e sociale.
Il modello economico e sociale che si è sviluppato in Occidente, basato sull’incertezza per il futuro di sempre maggiori strati di popolazione, frutto dell’insicurezza del lavoro e della riduzione del welfare, dove è crescente la generazione di lavori e lavoratori precari, dove il mondo del lavoro è sempre più debole, lascia presagire uno scenario con consumi sempre più ridotti.

I confusi mega progetti per il porto di Trieste (piattaforma Unicredit) e di Venezia (Porto offshore), sponsorizzati rispettivamente dal ministro Frattini e dal ministro Brunetta, dimostrano una mancanza di organicità dell’azione del Governo, in quanto il titolare del dicastero competente, cioè il ministro Matteoli, è solo spettatore. Abbiamo già detto, ma è bene ricordarlo, che l’assenza di una “Cabina di regia” nazionale e di una visione sistemica, al di la di qualche apprezzabile tentativo territoriale, rende la portualità italiana ancora puntiforme.

L’esempio evidente è dato dal fatto che le Autorità dei porti di “destinazione finale”, abbiano messo in cantiere progetti che, solo per il settore dei contenitori, produrrebbero un’offerta infrastrutturale per movimentare per 37 milioni di teus. In Italia, escludendo i porti di transhipment, oggi si movimentano circa 5 milioni teus. Previsioni e statistiche attendibili ci assicurano che negli scali italiani, al netto delle ricadute che potrebbero avere altri scompensi finanziari per paesi a rischio (es. Grecia), potranno essere movimentati entro 2024 circa 15 milioni di teus. Ciò significa che ogni porto s’impegna a spendere, con o senza project financing, risorse sicuramente in eccesso rispetto alle necessità reali.

Gli effetti dei tagli lineari che il Governo ha praticato per contenere la spesa pubblica, producono un negativo “effetto domino” nei territori, con Istituzioni di governo locali (Regioni, Province, Comuni,) che si ritrovano con risorse sempre più esigue.

Come ci ha detto il presidente della Regione Enrico Rossi all’iniziativa organizzata a Livorno dalla CGIL, in questa condizione sono a rischio gli investimenti già concordati fra la Regione Toscana e Governo. Se aggiungiamo la mancata realizzazione delle autonomie finanziarie per le Autorità Portuali il quadro si fa ancora più incerto.

Nonostante ciò un gruppo dirigente all’altezza dei suoi compiti non può “guardarsi l’ombellico”, ma deve fare uno sforzo per affrontare i problemi, sapendo contemperare obiettivi e soluzioni di breve termine, con scelte di prospettiva. Quando parlo di gruppo dirigente non mi riferisco solo ai soggetti istituzionali e le forze politiche, ma penso anche al mondo imprenditoriale, alle organizzazioni che rappresentano le istanze dei lavoratori, al mondo delle professioni e del sapere che non può svolgere un ruolo marginale.

Strategie

La vicenda dell’Autorità Portuale di Livorno sembra volgere al termine con la nomina dell’attuale Commissario Giuliano Gallanti a presidente. Un profilo, il suo, di altissimo livello e un’esperienza maturata nell’ambito genovese ed europeo.

Anche nel nostro porto occorre ripensare le strategie perché la crisi non ha rallentato, ma ha accelerato alcune dinamiche che se non governate rischiano di marginalizzarci. Accanto alle politiche difensive vanno attuate azioni che inneschino fattori di sviluppo e in questo quadro vanno individuate delle priorità su cui agire in tempi rapidi: rafforzare la “mission” definire e realizzare la “vision”.

Il porto di Livorno vive ormai da tempo una condizione contraddittoria fra le sue potenzialità inespresse e le inerzie che hanno fatto accumulare molte criticità irrisolte. Il rischio che s’imbocchi una progressiva deriva declinante è forte se non si attuano con urgenza interventi concreti che vadano ad incidere sugli assetti infrastrutturali, sui processi organizzativi interni, sulle sue relazioni economiche e funzionali con il territorio. Le prospettive di sviluppo della nostra città sono inscindibili da quelle del suo porto. Da qui passa la prospettiva di sviluppo economico e sociale del nostro territorio. Se non vogliamo che parole come “Piattaforma logistica” diventino titoli di capitoli irrealizzabili dobbiamo risolvere i problemi che stanno isolando il nostro scalo dai mercati.

Le priorità sono state individuate da tempo ma oggi occorre un’azione coerente per poter raggiungere obiettivi concreti.

Regole

Occorre al più presto dare regole al mercato dei servizi portuali e soprattutto farle rispettare. Superare i “doppi regimi” che hanno non solo condotto ad una concorrenza interna non fisiologica, ma patologica. Dopo una lunga inattività si sono riaperti i tavoli di confronto fra rappresentanti dei lavoratori e operatori portuali, utili a definire nuove regole condivise. Se vogliamo che il terminalismo livornese rafforzi sempre di più le sue funzioni industriali, dobbiamo superare le forme ibride di utilizzo delle banchine e delle aree retrostanti. La legge 84/94, nella sua parte autorizzativa, oltre ad avere strumenti di controllo per stabilire se i concessionari hanno operato secondo i criteri stabiliti, può essere utilizzata per alzare ulteriormente “l’asticella” della qualità imprenditoriale, attuando strumenti di incentivazione per quelle imprese che realizzino innovazione tecnologica e di processo organizzativo. Dobbiamo dunque evitare un ritorno al “porto dei pollai” e puntare ad un rafforzamento dimensionale delle imprese.


Infrastrutture

Nei giorni scorsi al convegno organizzato dal Propeller Club il Capo Pilota del Porto ha descritto un quadro inquietante delle condizioni infrastrutturali inerenti ai fondali. Il nostro è un porto con gravi problemi di accesso (Bocca Sud, Canale di Accesso, fondali nella Darsena Toscana) per navi che diventeranno di dimensioni standard già adesso (6000/8000 teus). Anche su questo tema che risente sicuramente di una legislazione e di una normativa faragginosa, dobbiamo fare ogni sforzo di programmazione, dandosi delle priorità che abbiano come base l’interesse generale del porto. L’insufficiente assetto ferroviario è l’altra priorità da affrontare con determinazione se non vogliamo restare un porto prevalentemente regionale.

Le procedure del Piano Regolatore del Porto sono ancora ad uno stato embrionale e la realizzazione della Darsena Europa richiederà ancora molto tempo, ma un’azione di programmazione e progettazione potrebbe permetterci di poter realizzare alcune opere non meno importanti per dare soluzioni ai problemi,

I giudizi sull’operato si daranno alla fine di un mandato, ma il modo con il quale il commissario Giuliano Gallanti sta per adesso affrontando i problemi lasciano ben sperare in quanto non sembra che voglia  gestire il porto, ma governarlo. Questo concetto, se realizzato, non può che essere già valutato in modo positivo.

Vladimiro Mannocci

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Pubblicato il
23 Febbraio 2011

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