Riflessioni in vista dell’anno nuovo
LIVORNO – Dunque, ci siamo. Poche ore alla fine di questo 2010 che, valutato per i risultati in campo economico e marittimo, appare con due facce, come Giano.
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Da una parte, ha fornito qualche importante segnale di ripresa, specialmente per i traffici marittimi con il Far East che s’erano inchiodati, e per i bilanci delle compagnie di shipping più pronte a correre ai ripari. Dall’altra ha deluso chi si aspettava una politica di forti investimenti pubblici nelle infrastrutture, specie in quelle portuali, proprio per poter presentare un quadro nazionale pronto alla ripresa, quando e se la ripresa ci sarà.
Non siamo certo noi, dal modesto osservatorio del giornale, a poter ipotizzare per l’anno che viene vacche grasse o vacche ultramagre: di soloni che leggono la sfera di cristallo ce ne sono anche troppi. Però, nel salutare i nostri quattro lettori augurando loro un buon Anno Nuovo, qualche considerazione facile facile ci sentiamo autorizzati a farla. E se non sarete d’accordo, pronti ad ospitarvi nel nostro sito “web” che per qualche tempo ancora lasciamo aperto e gratuito per tutti.
Prima considerazione: ormai accertato che la finanza pubblica non riserva che briciole ai porti – Tremonti non allenta niente, se non allentano lui – il 2011 dovrebbe se non altro aprire la strada alla finanza privata sulle banchine: come il progetto Unicredit ipotizza per il Nord-Est, come lo stesso presidente Merlo auspica per il Nord-Ovest. Rimane da capire che cosa si vorrebbe o potrebbe fare per quei porti del Centro e del Centro-Sud che rimangono impantanati in progetti improbabili che puntano ancora su mega-investimenti pubblici, come la piattaforma Europa di Livorno e gli accordi di Bagnoli “traditi” per Piombino. Sulla riforma della 84/94 ormai pochi puntano davvero, anche perché senza autonomia finanziaria non sarebbe riforma ma palliativo. E allora? Allora l’anno comincia con più incertezze di quelle dell’inizio del 2010, che erano tante e si sono confermate realistiche.
Seconda considerazione: possiamo a questo punto buttarci tranquillamente dal ponte di Calafuria, o impiccarci al più vicino pennone? Con un ragionamento terra-terra, si può obiettare che gli armatori continuano a costruire navi, che i traffici sono (anche se leggermente) in ripresa, e che navi e traffici hanno bisogno di porti, per cui non è possibile che anche i nostri scali meno dinamici (o fortunate, o sponsorizzati, o benedetti dalla natura) vengano cancellati tout court. Il mercato dei traffici, come sempre il Mercato (notate la maiuscola) alla fine è un potente correttore di storture: e gli specialisti più sensati ipotizzano che alla fine ci sarà quella divisione tra porti di serie A e di serie B che nessun governo ha avuto il coraggio di fare. E non è detto che la serie B sia meno ricca o meno conveniente: semplicemente dovrà differenziarsi sulla base di un target, dedicando tutte le energie al settore. I porti “tuttologhi” (o se vogliamo, “multipurpose”) potranno essere mezza dozzina, non più. Per gli altri il rischio è il declino.
Terza considerazione: si parla tanto di federalismo, e adesso pare che ci siamo vicini. Ma se il federalismo partirà, che succederà in quelle regioni dove ci sono più porti, e tutti con aspirazioni di forte crescita? Abbiamo visto che i “sistemi”, già tentati più o meno nella sostanza (e non solo nella forma) funzionano solo con un porto molto forte e una rete di satelliti, ma non funzionano tra porti di quasi pari dignità. Funzionano tra Bari e Manfredonia o tra Livorno e Capraia, ma non tra Livorno e Piombino o tra Genova e La Spezia. Forse rifletterci un attimo, tra i pensierini di fine anno, potrebbe aiutarci.
E comunque, se siete arrivati in fondo a questi pensierini in libertà, tanti auguri e buon anno nuovo.
Antonio Fulvi
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