Bruxelles bacchetta ancora tasse portuali e aiuti ai porti
Duri richiami delle commissioni europee che non ammettono a priori nemmeno gli interventi di Stato sulle grandi infrastrutture
BRUXELLES – Non mancano gli argomenti di confusione nella gestione degli aiuti di Stato alla portualità europea. L’ultima notizia – che ultima poi non sembra perché ogni giorno matura qualche scelta anche contraddittoria – è che la Commissione Europea ha chiesto formalmente all’Italia di non applicare nei trasporti marittimi tasse discriminatorie rispetto alle varie bandiere.
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Ovviamente, con tutte le decisioni dell’UE, si va alle lunghe: ci sono meccanismi di auto-difesa, ricorsi, allungamenti. Tutto il contrario di un’efficienza pronta, rapida, decisa.
Anche gli aiuti infrastrutturali ai porti sono entrati nel mirino della UE. E ancora una volta, in senso contrario a quanto era stato inizialmente indicato. Dopo anni ed anni in cui gli aiuti di Stato erano stati considerati legittimi per i porti del Nord Europa – costruzione di dighe, invasi, maxi-terminal, banchine – adesso improvvisamente si è deciso che nei porti i privati devono fare tutto da soli. Opere infrastrutturali imponenti? Chi le vuole, se le paga, perché l’aiuto pubblico può essere considerato distorsivo dalla concorrenza.
Quello che è ancora peggio è che lo stesso criterio viene invocato da Bruxelles per i collegamento ferroviari ai porti, ai terminal portuali, alle reti, se solo c’è un sintomo di interesse diretto per valorizzare i terminal privati stessi.
Morale: ogni progetto in questo senso va preventivamente notificato – per la relativa approvazione o bocciatura all’apposita commissione di Bruxelles. Si suppongono tempi ancora più lunghi, diatribe, ricorsi. E il resto del mondo ovviamente non aspetta.
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