La nautica del 50º salone di Genova chiede allo Stato norme semplici e chiare
La polemica del ministro Matteoli sui controlli “spesso poco moderati” della Finanza sulle barche – In un anno il comparto ha perso 2 milioni di euro di fatturato diretto – La riforma della legge 84/94 e i riflessi sulle strutture

(da sinistra) Altero Matteoli, Anton Francesco Albertoni e Paolo Lombardi all'inaugurazione del 50º Salone Nautico di Genova.
GENOVA – L’hanno definito il salone delle residue speranze, del “raschiare il fondo del barile”, del may-day al potere pubblico. Insomma la 50ª edizione del salone internazionale della nautica, aperto sabato scorso e in svolgimento fino a domenica prossima 10 ottobre, doveva essere evocativa di grandi successi, degli anni d’oro della diportistica, della stagione “dei ricchi”. L’hanno ricordato anche all’inaugurazione: due edizioni fa, c’erano fuori dall’Ente Fiera i famigerati cartelli di una frangia dell’estrema sinistra che chiedevano: “Anche i ricchi devono piangere”. Quest’anno, più concretamente, l’ingresso al salone è stato ieri bloccato per un po’ da una manifestazione di tranvieri e di operai che temono di perdere il posto. Niente epiteti o inviti a “far piangere i ricchi” ma la tensione non è mancata; perché una cosa sono le banchine e i capannoni dell’Ente Fiera rilucenti di splendidi yachts e di ben 30 navi da diporto di oltre 24 metri (costano intorno a 1 milione di euro ogni 2 metri): una cosa sono le realtà dietro queste splendide facciate dove specialmente non ridono i cantieri – ovvero chi ci lavora – che nel 2009 hanno avuto un calo del 30% degli ordini e spesso non hanno ancora smaltito il magazzino nemmeno in questo 2010 sia pure in (leggera) ripresa.
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Per il salone che celebra il suo mezzo secolo dunque, l’inaugurazione è stata prudente malgrado i 1.400 espositori, le 2.300 barche (di cui il 60% natanti, il che è consolante per i non ricchi), le 500 novità. Per il governo solo un ministro, il senatore Altero Matteoli (Infrastrutture e Trasporti) quando in passato ce n’erano a mazzi, e anche alcuni presidenti del consiglio. Enfatizzati giustamente i valori del comparto nautico sull’economia del Paese: 6,2 miliardi di fatturato annuo, un contributo al Pil di 5,5 miliardi, lavoro diretto per 150 mila addetti e indiretto per oltre il doppio. Peccato che i 6,2 miliardi di ieri, quest’anno – dati forniti dalla Confindustria nautica, Ucina – siano diventati 4,5. Si spera nella risalita della china con il 2011. Ma come ha detto il presidente della stessa Ucina Anton Francesco Albertoni, adesso le risorse dei cantieri sono finite, è stato raschiato il fondo; la palla deve passare al governo, con risposte concrete e specialmente rapide. “Siamo ancora per poco in condizioni di reggere – ha detto Albertoni – ma occorrono normative semplici, chiare, che non creino equivoci”. E il caso della barca di Briatore, sequestrata sulla base di interpretazioni non da tutti condivise, che ha allontanato centinaia di yachts dai porti italiani con la perdita di miliardi per l’indotto, è stato rilanciato al ministro Matteoli che si è detto d’accordo su applicare le norme “con intelligenza e moderazione”, pur perseverando nella caccia agli evasori fiscali. Una dichiarazione che ha innervosito la Guardia di Finanza ed ha portato poi a un chiarimento in termini distensivi dello stesso ministro. Per il resto, Matteoli sostanzialmente s’è stretto nelle spalle: l’economia del Paese non consente grandi investimenti pubblici, si possono solo fare correzioni di rotta, eliminare norme farraginose, semplificare. La stessa riforma della 84/94, che malgrado tutto “sta trovando consensi bipartisan nelle commissioni”- ha detto Matteoli – prevede che nei porti siano aree non più adatte ai grandi traffici da usare per la nautica.
Qui a Genova molti stanno provando a rilanciare. Tra i grandi, il viareggino Perini ha presentato il mega-veliero Fivea di 45 metri. Dall’Adriatico ha risposto CRN (Ferretti group in rilancio) con il 60 metri Blue Eye. C’è anche chi ha snobbato Genova, come Codecasa di Viareggio che non va ai saloni perché sono i clienti (che non mancano) ad andare da lui. Ma gli altri, molti altri, sono qui con i guanti da ranocchi per afferrare al volo le occasioni. Con un comune denominatore: downsizing nelle potenze (specie su gommoni e natanti) più attenzione ai costi, tecnologie costruttive più attente all’ambiente, motorizzazioni anche ibride, package sui gommoni a prezzi stracciati e vendite rateali, vele più piccole ed economiche. E tanta speranza, che è poi la merce più diffusa di questo salone.
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