Venti di guerra nello stretto di Hormuz
TOKYO – I segnali sono preoccupanti e gli armatori le cui navi operano nello stretto di Hormuz sono stati invitati in questi giorni – sia dal governo Usa che da quello giapponese – a fare intensificare le misure di vigilanza a bordo, specie nelle ore notturne.
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Il tutto dopo una misteriosa esplosione che ha danneggiato, fortunatamente in modo non grave, una petroliera giapponese con due milioni di barili di greggio a bordo durante il passaggio nello stretto. Il comandante della nave, che ha potuto proseguire il viaggio, ha comunicato che i danni sono solo alle lamiere dello scafo sulla dritta, senza però alcuna perforazione. Ed ha anche riferito che il radar gli aveva segnalato alcuni barchini in veloce avvicinamento poco prima dell’esplosione. Non ci sono state rivendicazioni attendibili, ma la tecnica degli assalti a “sciame” di barchini dotati di armi anticarro e di razzi è tipica della marina dei Pasdaran iraniani, già attuata in passato sia contro navi Usa che durante la guerra con l’Iraq di Saddam Hussein.
Lo stretto di Hormuz è un crocevia importante per i traffici delle petroliere: vi transita circa il 40% del greggio che viaggia via mare in tutto il mondo ed è stato oggetto di tentativi di accordi internazionali per assicurarne la libera fruizione. Ma lo stretto è anche in una delle zone più “calde” del Medio Oriente, tra le coste dell’Iran e quelle degli Emirati Arabi, con notevoli interessi anche di Israele che ultimamente vi ha inviato di pattuglia uno dei suoi più moderni sommergibili. A differenza di quanto avviene nel mar Rosso e fuori dalle coste della Somalia, dove il pericolo è costituito principalmente dai pirati somali che abbordano le navi per chiederne poi il riscatto, sullo stretto di Hormuz si temono veri e propri atti di guerra, visto che la tensione è in forte crescita dopo l’annuncio dell’Iran di aver attivato la prima centrale nucleare considerata da Israele specialmente “inaccettabile” per la propria sicurezza.
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