Sulla proposta-choc di Unicredit si allarga il fronte dei “perché no?”
Ma fa discutere anche la carenza di normative ad hoc nel silenzio più assoluto del governo – Un modello nuovo in Italia ma assai diffuso negli altri paesi

Luigi Merlo
Se ne discute molto in questi giorni, delle società miste tra pubblico e privato per rilanciare i porti italiani, dopo l’uscita di Unicredit – primo gruppo bancario italiano – che si è detto interessato a investire “pesantemente” su alcuni porti. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, ha addirittura prospettato di contribuire (con soldi veri, non chiacchiere) alla realizzazione di una mega-piattaforma logistica adriatica tra Trieste e Monfalcone, con il target di 5 milioni di teu/anno. Una proposta che ha fatto strillare come aquile spennate buona parte degli altri scali italiani esclusi dal mega-progetto (in particolare quelli più vicini, come Venezia) ma che ha avuto subito un complemento “ascellare”, nel senso che Unicredit ha subito rilanciato proponendo qualcosa di simile anche per Genova. Tanto da ammorbidire immediatamente le prese di posizione critiche del cluster marittimo ligure, ma non certo i sospetti e i “distinguo” degli altri porti.
Nel ping-pong tra i “si”, i “no” e i “forse”, una presa di posizione realistica e approfondita viene da Maurizio Maresca, già presidente della Port Authority di Trieste che sul web (www.shippingonline.it) identifica la proposta di Unicredit come “modello industriale/finanziario di gestione delle infrastrutture logistiche assai diffuso in ambito internazionale anche se relativamente nuovo in Italia”. Della serie: è il momento di guardare oltre i nostri orizzonti e di cercare risorse altrove, visto che dalla grande “mammella” dello Stato sembra ormai difficile attendersi granché.
Ovviamente il progetto Unicredit ha portato molti a mettere i puntini sulle “i”. E in attesa che lo stesso sindacato delle Authority, cioè Assoporti, prenda una posizione più definita ed ufficiale di quella che nei giorni scorsi è stata firmata dal suo presidente Nerli (e subito criticata da una parte degli associati) c’è chi contesta in particolare la richiesta di “leggi speciali” su fantasiosi “porti di corridoio” (o “corridoi di porti”) e specialmente sulle figure di commissari che andrebbero a mettere in ombra le Port Authority e forse anche le istituzioni territoriali.
Per chiudere il dibattito, sembra realistica e sensata la considerazione del presidente di Genova Luigi Merlo quando si richiama al fatto che per considerare qualcosa di più d’un sogno il progetto Unicredit “occorre riferirsi a un quadro normativo che oggi non esiste”. E allora? La risposta (o il fiammifero acceso) torna a Roma, dove sulla portualità e in genere sulla logistica sembra che nessuno davvero sia interessato più di tanto. O no?
Antonio Fulvi