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LIBRI RICEVUTI

(a cura di Antonio Fulvi)L’elemento mancante
di Stelio Montomoli

(Editrice La Bancarella)Stenio c’ha preso gusto. Ed ecco un altro “giallo”, sempre con l’ispettore Tullio Tabani come protagonista, ancora una volta inquadrato in quel microcosmo tutto particolare che è la cittadina di Piombino, proprio di faccia all’Elba. Un microcosmo che l’autore conosce bene perché vi è stato dirigente sindacale, dirigente politico (Pci dei tempi in cui il Pci era pressoché egemone) operaio siderurgico, etruscologo dilettante (qualcuno malignamente sostiene che conosce troppo bene la tecnica dei tombaroli per non averli almeno frequentati) e infine segretario generale della Port Authority di supporto al presidente Tullio Tabani.
Già, proprio Tullio Tabani è il nome che Stenio ha voluto attribuire fin dal suo precedente “giallo” (“Nel segno dei pesci”) al suo ispettore piombinese che ne “L’elemento mancante” si trova di nuovo alle prese con un caso complicatissimo, dove i risvolti umani s’intrecciano con il misterioso mondo degli etruschi, dei loro tesori e della loro civiltà. Un caso che Tavani risolverà, ma non senza pagare pegno sul piano dell’umanità e della sofferenza. Un libro piacevole, scritto benissimo, che conferma la vena felice tutt’altro che esaurita dell’ex dirigente sindacale e operaio, oggi profondo cronista delle passioni umane.Colonie penali nell’arcipelago Toscano
di Alfredo Gambardella

(Ibiskos-Ulivieri)Prendendo a riferimento il periodo tra l’ottocento e il novecento in cui furono fondate – non senza un approfondito dibattito tra studiosi ed esperti anche a livello internazionale – le colonie penali agricole di Pianosa, Gorgona e Capraia, il giovane e attento autore fornisce una documentazione impressionante su quello che è stato definito “un mondo alla fine del mondo”. Il corposo volume risente ovviamente dell’impostazione, essendo nato come tesi di laurea: ma non per questo risulta arido nella lettura o cavilloso nella documentazione. Vi si traccia, in sostanza, non solo la storia tecnica e burocratica delle tre colonie penali – di cui oggi sopravvive solo Gorgona – ma anche quella umana di chi vi fu ridotto, di chi ne fu responsabile, e anche di quella dolente scheggia di umanità che risultarono essere gli agenti di custodia (i “secondini” di antica memoria) spesso più sacrificati e incompresi degli stessi detenuti, e gli stessi dirigenti apicali, dai direttori agli agronomi, dai medici agli assistenti sociali.Oggi due delle tre colonie penali isolane sono chiuse (Capraia da quasi vent’anni, Pianosa da circa la metà) ma dalle stesse pagine dello studioso Gambardella emergono dubbi – sia pure velati – sull’opportunità di aver definitivamente dismesso e abbandonato alle rovine del tempo un patrimonio che forse, in chiave più moderna ed umana, avrebbe potuto ancora servire e insegnare. Un patrimonio che comunque da anni sta andando definitivamente in malora senza che ci sia il coraggio di definirne una scelta: di recupero, di restituzione alla natura, di turismo o quant’altro.
Morire a Clipperton
di Marco Ferrari

(Mursia Editore)Autore di pregevoli scritti dedicati al mare (il suo romanzo d’esordio, “Tirreno” lo fece definire nel 1988 uno dei più promettenti giovani scrittori) Marco Ferrari si è dedicato in quest’ultimo libro alla tragica storia – storia vera, sia pure con l’aggiunta di qualche licenza poetica – di un presidio di militari messicani dimenticati su un’isola a presidiare il niente contro il pericolo di altri Niente. Siamo ai primi del Novecento e il Messico, in piena vigilia della rivoluzione zapatiana, s’intestardisce a rivendicare la propria sovranità su uno scoglio sterile e improduttivo – la cui unica ricchezza, il guano, a breve perderà valore per l’invenzione dei fertilizzanti chimici – inviandovi un presidio di militari, comandati da un giovane capitano che sogna gloria e riconoscimenti. Raggiunti dalle famiglie, i militari si accorgeranno presto che non ci sono nemici da fronteggiare a parte la natura selvaggia, il mare infestato dagli squali, la fame crescente, e più di tutti se stessi. Quando sarà evidente che il presidio è stato definitivamente dimenticato dalla Madrepatria, prevarranno l’apatia, lo sconforto e il lento degradare di una disciplina non più sentita né compresa. Fino alla tragedia finale, con un gruppetto di donne sopravvissute alle malattie, all’inedia e alla fame, che si troveranno alla mercè dell’unico militare superstite, un bruto che non si farà scrupolo di niente.
Scritto in forma di lettera al re d’Italia che era stato chiamato a far da mediatore sulla sovranità dell’isola, il romanzo di Ferrari è un lungo saggio sull’orrore, che però attanaglia e commuove. E ci porta a interrogarci sulla natura umana e le sue molteplici mostruosità.

Pubblicato il
15 Febbraio 2010
Ultima modifica
23 Febbraio 2010 - ora: 11:41

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